di PASQUALE LOIACONO Il politichese attinge senza remore dal mondo animale. Così in parlamento abbiamo i cani sciolti, i falchi, le colombe e, da ultimo, anche i grilli, mentre, forse, avremmo bisogno di formiche. Da questo arruolamento semantico non poteva restare escluso
il cavallo, il nobile quadrupede che, in omaggio appunto alla sua nobiltà, viene adoperato soltanto per metafore di alto prestigio, come per i cosiddetti “cavalli di razza”, specie ormai estinta. Un re d’Inghilterra, trovandosi in difficoltà, offrì addirittura il suo regno per un cavallo e l’imperatore romano Caligola lo amava a tal punto da nominarlo senatore. Per millenni, l’umanità è andata a cavallo, solo da alcuni decenni si muove in treno, in aereo o in auto. Ma le è rimasta nell’anima un’inconscia nostalgia, come dimostra il cavallo-vapore (Hp), nome dato all’unità di misura dell’energia sviluppata dalle macchine, sostitutrici dell’antico e fedele cavallo-sudore.
Per millenni, abbiamo, con l’aiuto del cavallo, fatto di tutto, compresi la guerra (il famoso “cavallo di battaglia” o quello, dell’astuto Ulisse, di Troia)
e l’amore («Ai miei tempi, correvo la cavallina»). Quando un cronista sportivo, che ha usato per sette volte in quattro righe la parola “bicicletta”, cerca disperatamente un sinonimo, ecco il soccorrevole quadrupede che gli porge l’elegante immagine del “cavallo di ferro”. Sulle piazze d’Italia, ammiriamo monumenti di re e condottieri tutti a cavallo, mai un guerriero in pigiama. Che cosa desidera un modesto impiegato alla fine della carriera? Una buona liquidazione e, possibilmente, il titolo di cavaliere. Mai di asiniere.
Il cavallo è bestia generosa, altera, sensibile. «Ombroso come un cavallo», diciamo di un amico permaloso e suscettibile, senza immaginare che gli facciamo, invece, un complimento, perché lo paragoniamo a Bucefalo, il magnifico e bizzoso cavallo che riuscì a domare solo il giovane Alessandro Magno.
Il cavallo è animale così vicino all’umanità che gli antichi lo mitizzarono nel centauro, metà uomo e metà cavallo. Giovanni Pascoli, nella “cavallina storna”, diede la parola alla bestia che era stata testimone dell’assassinio del padre, facendosi confermare da essa il nome dell’omicida. Ma se questi miracoli avvengono solo in poesia,
per la nostra prosa quotidiana, il cavallo ci presta una colorata fraseologia. Se le dimostrazioni di piazza degenerano in tumulto, la polizia usa i lacrimogeni per disperdere i “recalcitranti”. Dopo settimane di stasi, l’Euro ha avuto una brusca “impennata”. Alle camere, la discussione sul taglio dei privilegi dei parlamentari procede al “piccolo trotto”, mentre gli italiani “mordono il freno”. Quasi ogni giorno, la magistratura indaga su politici e amministratori corrotti. In simili faccende, i beneficiari non vanno tanto per il sottile, perché «a caval donato non si guarda in bocca». I commentatori denunciano questo malcostume con roventi articoli di fondo. Tutti, sinistra, centro, destra e qualunquisti, in coro unanime deplorano, stigmatizzano, auspicano. Campa cavallo.