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Se la battaglia per la riapertura di un Tribunale a Corigliano-Rossano diventa strumento da campagna elettorale

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È utile? È interessante? Ma soprattutto che finalità ha? È una delle domande chiave che ognuno si pone prima di promuovere un evento, di qualsiasi natura e genere. E sicuramente c’è anche un obiettivo chiaro e sotteso nell’iniziativa in programma domani nella sala rossa di palazzo San Bernardino, a Rossano centro storico, dal titolo quantomai pacificante e incoraggiante: Tribunale, l’ora della coesione.

Al netto di buoni propositi e intendimenti (forse!) che l’iniziativa si pone, difronte alla locandina che pubblicizza l’ennesimo dibattito che sarà ricchissimo di slogan e paroloni, di rimpianti e rivendicazioni, mi sono posto la fatidica domanda: a cosa serve? Certo non servirà ad aprire o riaprire un tribunale a Corigliano-Rossano. E questo appare pacifico. Porterà nuovi elementi al dibattito? È giusto nutrire seri dubbi a riguardo, atteso che sulla questione si sono già consumate in dieci anni - da quel settembre 2012 in cui vennero chiuse le porte dello storico foro di Rossano - promesse, impegni, decine di interrogazioni parlamentari, addirittura proposte di legge, consigli comunali a raffica. Ma è stato soprattutto il concetto di “coesione” in questa battaglia ad essere tante volte usato e abusato che oggi ritornare a parlare dello stesso argomento, con gli intendimenti di sempre, appare una pratica inutile se non addirittura frustrante. Ma che però ha una sua utilità intrinseca, ha un suo perché.

Ci siamo arresi davanti all’esercizio - probabilmente più corretto - di andare a ricercare le reali motivazioni che all’epoca del Governo Monti portarono alla soppressione del Tribunale di Rossano. Qualcuno sostiene che non si vedeva l’ora di arrivare a quel punto e che la contingenza di un esecutivo tecnico, senza peli sul cuore, sia stata solo l’occasione giusta. Fino a che, correttamente, volevamo sapere solo la verità di quanto fosse accaduto. Delle dinamiche che avevano generato quello sgorbio che fu la soppressione del palazzo di giustizia di piazza Santo Stefano. Ci siamo dovuti arrendere, perché difronte ai grandi sistemi che reggono la nostra democrazia è l’unica cosa che, a un certo punto, si può fare.

Una resa forzata che non significa abbandono del campo di battaglia. Tutt’altro. Perché, in fondo, il diritto alla giustizia rimane una delle rivendicazioni più grandi di questo territorio pur restando accampata solo in alcuni cuori. Non in quelli di tutti.

Ed è anche qui che ritorna il concetto fondante attraverso il quale quest’area della Calabria potrebbe ribaltare il suo destino: quello della consapevolezza. La campagna per ottenere o ri-ottenere un Tribunale, tolti gli addetti ai lavori, la politica, parte dell’associazionismo e della stampa, rimane una questione isolata. Elitaria. Interessa a pochi.

Ormai è un caso buono solo a far accampare acredini da campagna elettorale.

La storia del tribunale a Corigliano-Rossano è diventata come il gioco della patata bollente che a scadenza elettorale viene buttata su questo o su quell’avversario politico fino a che, scaduto il tempo, rimane nelle mani del malcapitato di turno.

E il sospetto che l’evento di domani sia stato creato proprio per assecondare questo gioco c’è. Non può non esserci. Non si vedono altri reali motivi. Dal momento che è bastata un’affermazione fatta nei giorni scorsi dal ministro della Giustizia Nordio («La riforma della geografia giudiziaria è stata un disastro») per riaccendere entusiasmi. Non è con le parole, con la solidarietà, con le buone intenzioni che si riaprono tribunali o si restituiscono diritti negati ai cittadini. Anche perché, se questa fosse davvero la misura, cosa dovremmo dire delle prese di posizione (ancora più chiare e nette di quelle di Nordio) di ex guardasigilli che si sono susseguiti a palazzo Piacentini? Che dire delle promesse disattese del piddino Andrea Orlando o ancora del pentastellato Alfonso Bonafede? Nonostante le grandi promesse – occorre ribadirlo – ancora oggi continuiamo a percorrere i nostri cari e maledetti kilometri per raggiungere il tribunale accorpante di Castrovillari.

Tutti gli eventi, i dibattiti, i confronti, le interlocuzioni, le interpellanze, i colloqui, le audizioni non hanno prodotto nulla. E non produrrà nulla nemmeno l’evento di domani, tranne che per alcune frange politiche cittadine che si preparano alla competizione elettorale delle comunali e hanno iniziato ad allestire il patibolo per l’avversario di turno che, oggi al governo, sarà caricato della responsabilità di non aver riaperto il tribunale (e magari anche di averlo fatto sopprimere!). Così da gridarlo dai palchi nella primavera 2024.

Insomma un buon pretesto, per loro, di fare ammuina e, per noi, di assistere con l’anello al naso.

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.