Marcatori identitari, vaccino contro l’oicofobia per una Calabria autonoma e un sud meridiano
Il Corsivo di Lenin Montesanto: «il viaggiatore non trova l’identità che cercava e che lo aveva portato a ricercare (soprattutto sul web) la destinazione turistica Calabria che aveva immaginato». Serve "il vizio" della memoria
Se, con o senza il Nutriscore europeo, le clementine della Piana di Sibari continuano ad essere latitanti, sia fresche in autunno nella ristorazione e nei bar del territorio, sia eventualmente trasformate (una bestemmia!) in tutti gli altri periodi dell’anno e nelle stesse reti turistiche e filiere commerciali regionali; se i numerosi extravergine di qualità di tutti i territori calabresi, in molti casi prodotti da cultivar distintive come la Dolce di Rossano ed eredi di una millenaria cultura dell’ulivo, restano ancora sogni proibiti sulle tavole della ristorazione locale, perfino di quella tipica e chimere negli scaffali della piccola e grande distribuzione; e se, ancora, trovare nei menù di questa penisola di montanari dell’autentico pesce mediterraneo di stagione o, se si preferisce, del formaggio a latte crudo dei nostri territori o addirittura dei funghi autoctoni di stagione risulta un’impresa complicatissima, non si è di fronte ad un semplice punto di dettaglio della globalizzazione consumistica.
Quelle istantanee quotidiane rappresentano, diversamente, la radiografia antropologica di un virus molto più pericoloso e grave di quelli sanitari, perché di natura sociale, culturale, politica ed economica, il cui vaccino non si esaurisce purtroppo in una, due o tre dosi. Serve molto tempo.
È il virus di quella che Spartaco Pupo, professore all’Università della Calabria e autore di importanti ricerche apparse negli ultimi dieci anni su libri e prestigiose riviste scientifiche, definisce oicofobia, da oikos, che in greco vuol dire casa e phobia, paura.
L’oicofobia è la paura della propria casa e tutto ciò che l’abita, persone e cose. È la paura del proprio retaggio, della propria cultura, della propria identità. Per Pupo si tratta di qualcosa di più di una mera disposizione ideologica o inclinazione culturale.
Essa – scrive citando, tra gli altri, il neurologo francese Charles Féré, lo psichiatra italiano Bernardo Salemi Pace, il poeta inglese Robert Southey, il filosofo Sir Roger Scruton e George Orwell, che a vario titolo se ne sono occupati – è il frutto non solo di un pregiudizio ideologico caratterizzante aree ben identificate del pensiero e dell’azione politica contemporanei, ma anche di una sorta di patologica continuazione di stati psichici adolescenziali, che rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia rispetto alla xenofobia, la quale, come è noto, è la paura dell’altro, del diverso. Se la xenofobia, nell’accezione comune, è la paura ingiustificata delle altre culture, l’oicofobia è il terrore nei confronti della propria identità.
L’oicofobia è usata in psichiatria per indicare un’avversione patologica all’ambiente domestico. Alcuni psichiatri, come B. C. Carlsted, B. C. Stanaszek e, più recentemente, R. J. Campbell, la descrivono come un fenomeno pressoché normale in quegli adolescenti che non si vedono pienamente integrati nel gruppo dei loro coetanei e tendono ad adottare atteggiamenti che li portano a rifuggire dal loro contesto originario, per paura di essere giudicati negativamente. Si tratta – conclude Pupo – di una fase attraverso la quale la mente dell’adolescente passa più o meno ordinariamente. Meno normali sono i segni evidenti di atteggiamento oicofobo negli adulti, soprattutto in ambiti di esperienze che oltrepassano il terreno puramente psicologico e comportamentale, comunque individuale, per raggiungere lo spazio pubblico.
Da qui la gravità e pervasività di una vera e propria sindrome che diventa teoria e prassi di classi intellettuali e dirigenti ed i cui sintomi più evidenti e paradossali si rintracciano, a mio avviso, nelle partiche quotidiane, negli atteggiamenti comuni, condizionando le scelte delle persone che introiettano messaggi e proiezioni oicofobe.
Un esempio eclatante è offerto, a mio avviso, dai menù e dagli scaffali alimentari: la chiave di lettura più autentica di un disturbo di sviluppo, la vera punta dell’iceberg oicofobo calabrese per chi, come il sottoscritto, crede nell’impegno per la sovranità alimentare dei territori.
Ma vi è un altro indicatore storico sul quale occorrerebbe forse avviare analisi e riflessioni più approfondite, sia per capire cosa è accaduto fino ad oggi, sia per tentare di condividere ipotesi e percorsi alternativi.
Ci siamo mai chiesti a quanto ammonta la spesa pubblica consolidatasi dall’avvio del regionalismo negli ’70 ad oggi in tema di turismo e per sostenere le cosiddette programmazioni turistiche degli enti locali? È complicato ma non impossibile (ci abbiamo provato) arrivare ad un risultato che è astronomico: forse poco meno di una decina di miliardi di euro.
Per capire quale sia stato e quale sia oggi il risultato di questo investimento faraonico basta confrontare numeri, qualità, prodotti e strumenti fatti registrare in tutte le misurazioni degli ultimi decenni dalla destinazione turistica Calabria, se non proprio con quella del lontano Trentino Alto Adige, quanto meno con quella della limitrofa Puglia.
Tra i tanti documenti da citare, uno dei più recenti ed interessanti, è sicuramente il Regional Tourism Reputation Index realizzato da Demoskopika per il 2021.
Dal sistema ricettivo, alla booking hotel reputation, dall’appeal dei portali turistici, al posizionamento online, passando dalla popolarità della destinazione: sono, questi, alcuni dei parametri presi in considerazione per misurare il grado di attenzione della comunità di fruizione turistica, nei confronti dell’offerta promossa dalle regioni italiane.
E sulla base dei dati raccolti la Calabria si piazza 15ma nella classifica generale. Posizione che discende – si spiega in questo strumento di analisi delle principali dinamiche che caratterizzano la costruzione della reputazione turistica a livello regionale – da una buona performance nella popolarità della destinazione, peggiorata, purtroppo, dai giudizi sulla valutazione del sistema ricettivo (ultima in classifica) e, in generale, dai rating ottenuti sui principali aggregatori dell’offerta turistica.
Nei giorni scorsi, ospiti di Confindustria a Cosenza, abbiamo provato a commentare queste risultanze in modo incrociato e originale insieme, tra gli altri, allo stesso direttore di Demoskopika Raffaele Rio e, lupus in fabula, al teorico dell’oicofobia.
E la traduzione più attendibile anche di quei risultati pessimi in tema di percezione turistica è stata la seguente: una volta giunto nei nostri territori, il viaggiatore non trova però l’identità che cercava e che lo aveva portato a ricercare (soprattutto sul web) la destinazione turistica Calabria che aveva immaginato.
Pupo, che tra l’altro dirige un centro studi sul Noi politico denominato proprio Oikos, sostiene che ciò che abbiamo dinanzi è il risultato di oltre settant’anni di genuflessione anti-identitaria, insegnata nelle scuole e nelle università, di un’azione totalitaristica di distruzione di qualsiasi riconoscimento collettivo, messa in campo da una visione ideologica del mondo e dell’uomo che ha sempre processato senz’appello il concetto di identità come sinonimo di scarto, odio e razzismo, solo perché rinvia alle origini, alle radici, alla tradizione e al locale. All’onda decostruzionistica dei teoremi oicofobi, inculcati dalle agenzie educative controllate dall’intellighenzia dominante nelle menti delle persone sin da piccole, la debolezza storica della Calabria non ha retto.
Si tratta di un’analisi difficilmente contestabile e che, per quel che mi riguarda, spiega bene, passando sempre dalla teoria alle tante e diverse declinazioni pratiche che si potrebbero citare, dall’abbandono epico a più riprese dei centri storici verso ex scali ferroviari e coste poi violentate o distrutte (altro che alberghi diffusi!), al notevole commercio sotto traccia del tartufo del Pollino (sia nero che bianco) venduto nelle fiere come tartufo di Alba; dal peggiore salmone allevato, presentato come trofeo negli antipasti di pesce di benvenuto nei lidi ionici e tirrenici, al finto aceto balsamico, di presunta ispirazione modenese, col quale si intonacano carni di tutti gli emisferi del globo, ad eccezione della nostra podolica; dai concerti di taranta e pizzica salentina, pagati dagli enti pubblici nei calendari estivi (costruiti ad uso e consumo di tutto e di tutti, tranne che dei probabili viaggiatori e turisti) agli improbabili mercatini di Natale (di tradizione nordica) impreziositi con la vendita di aspirapolvere e scarpe da tennis organizzati ovunque, perfino sulla cosiddetta strada della morte (ex SS106 o E90), tranne che nei borghi storici di tutti e 404 i comuni calabresi; dalle lattine di aranciata finta, proposta come unica opzione commerciale, invece di succhi e spremute naturali di arance e clementine da bar che però sono limitrofi a distese di agrumeti; fino alle tipiche conserve artigianali di qualsiasi prodotto della nostra terra, perfino delle stesse olive, fatte però – e qui siam davvero alla plastificazione della oicofobia – con oli di girasole o di semi invece che extravergine. E se non è oicofobia questa?!
Vi è un dato di cui prendere atto perché sotto gli occhi di tutti, soprattutto di chi sceglie di visitarla: la sproporzione che c’è in Calabria tra la presenza e la proposta diretta e spontanea di prodotti non calabresi e, viceversa, l’assenza di prodotti calabresi, probabilmente non ha eguali nelle altre regioni italiane. Ecco perché non credo si possa, né tantomeno si debba, essere minimamente tacciati di improbabile nostalgia di teorie autarchiche nel pretendere, ad esempio, dalla nostra ristorazione e dalla nostra ricettività turistica, di essere soltanto un po’ più simili agli emiliani, ai trentini, ai piemontesi e perfino ai vicinissimi pugliesi nei cui menù e nelle cui piazze sventola, giustamente e orgogliosamente, la bandiera dell’identità dei loro territori.
Per un motivo tra i tanti, perché hanno sperimentato e capito che senza oicofobia ci si guadagna.
A confermarlo, giusto per citare uno dei diversi casi di successo di questa tendenza, diversamente da quanto accaduto ed accade in Calabria, potrebbero essere ad esempio i numeri del festival itinerante La notte della Taranta col concertone finale di Melpignano, giunto quest’anno alla sua 24ma edizione.
Secondo un rapporto realizzato dal Centro Internazionale di Studi sull'Economia Turistica (Ciset) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia con Confcommercio Italia e Agis nel 2019, ogni euro investito nell’evento (22 giorni) produce infatti 14 euro di spesa dei visitatori per 5 euro di valore aggiunto (circa 17 milioni nell’edizione del 2019 di cui 13 milioni per servizi e 6 di valore aggiunto nel territorio, a fonte di 1,2 milioni speso nell’organizzazione).
Quando l’identità produce e fa girare l’economia, potremmo dire. Altro che oicofobia!
Il vizio della memoria. – Era il 1997. Quando nel Salento, attorno alla valorizzazione culturale, identitaria ed artistica della pizzica nasce La Notte della Taranta, sullo jonio calabrese, a Cariati, attorno alla valorizzazione culturale, identitaria ed artistica della tarantella, viene ideato e programmato un analogo (potremmo dire gemello) Festival di musica e cultura mediterranee; e ad esso viene dato ufficialmente il nome di Otto Torri sullo Jonio, accogliendosi una mia analisi e proposta formale che traduceva in quell’esatto naming (evocativo delle reali otto torri cingenti l’intatta cittadella fortificata bizantina di Cariati, letteralmente affacciata sullo jonio) l’attuale definizione di Marcatore Identitario Distintivo (MID).
È Marcatore Identitario Distintivo (MID) – la definizione poi registrata viene riportata anche nella tesi di laurea della giovane ricercatrice di Soveria Simeri Giusy Samantha Voce, discussa all’Unical negli anni scorsi e dal titolo I marcatori identitari distintivi come leva strategica per i nuovi turismi – quell’elemento che dal punto di vista storico, culturale, paesaggistico, agroalimentare, antropologico, spirituale, scientifico etc. è riconducibile ad un determinato territorio, non necessariamente in modo immediato né preponderante, ma che può essere definito oggettivamente un unicum nel suo genere al mondo.
E la stessa analisi dei marcatori identitari (MI), selezionabili tra semplici e distintivi (MIS e MID) può essere utilizzata per l’individuazione degli eventi, analizzabili e classificabili anch’essi in Eventi Identitari Semplici (EIS), come ad esempio le tradizionali feste popolari, laiche o religiose, che si ripetono annualmente nei diversi territori, seppur con varianti locali e Eventi Identitari Distintivi (EID); solo in questi ultimi, proprio come per i MID, emergono elementi che, seppur non necessariamente in modo immediato né preponderante, possono essere definiti oggettivamente un unicum nel loro genere al mondo (si veda il caso paradigmatico della processione della Varia di Palmi, un imponente carro scenico, alto 16 metri e pesante circa 20 tonnellate, che simboleggia l’assunzione in cielo della vergine Maria con in cima l’Animella e il Padre eterno, trasportato a spalla da circa 200 “Mbuttaturi” l’ultima domenica di agosto, evento rientrante nella Rete delle grandi macchine a spalla italiane e dal 2013 inserita nel Patrimonio orale e immateriale dell'umanità dell'UNESCO).
Un altro po’ di storia. – In dichiarata rottura col principio e valore della continuità amministrativa che in Puglia sanciva ieri e oggi la prosecuzione, il consolidamento ed il successo di un evento identitario distintivo (EID) che nella prossima edizione del 2022 festeggerà il suo 25esimo anniversario, il Festival di musica e cultura mediterranee Otto Torri sullo Jonio, già tre anni dopo, subiva invece l’inesorabile legge calabrese non scritta della interruzione e della discontinuità, in ossequio alla tirannia delle perenni prime edizioni di tutto. Da quel momento in poi Otto Torri sullo Jonio diventa un laboratorio culturale per la provocazione culturale, la destituzione dell’ovvio e la progettazione dei turismi; ma soprattutto diventa il soggetto promotore ed organizzatore di quella che dal 1998 al 2012 è stata la più grande scuola estiva in management dell’identità, mai realizzata nel Sud Italia, riconosciuta, apprezzata e sostenuta dalle principali istituzioni nazionali e comunitarie: l’Euromed Meeting. In 11 edizioni, circa 1000 tra giovani studenti universitari e professionisti giunti in Calabria da tutto il mondo per quella Ecole d’été hanno studiato e approfondito, in classe e nei territori, quello che ritenevamo e riteniamo essere l’inconfondibile e competitivo patrimonio regionale dei marcatori (materiali ed immateriali) ed eventi identitari distintivi; tra i quali vi erano e potrebbero essere sicuramente inclusi, per la loro certa unicità, il Codex Purpureus Rossanensis (un unicum al mondo nel suo genere, conservato all’omonimo Museo di Corigliano-Rossano) o la figura e gli studi del matematico e medico cirotano del XVI secolo, Aloisius Lilius, inventore del cosiddetto Calendario Gregoriano (che dovremmo però chiamare Liliano), solo per fare due esempi paradigmatici di quello che potrebbe diventare un elenco consistente, per tutte e cinque le province e senza eguali, da costruire e mappare con rigore e visione, facendolo diventare lo scrigno inesauribile di una nuova Calabria.
Altro che mare da bere, perle, accoglienza e paesaggi che tutto il mondo ci invidierebbe!
A chiunque pretende occuparsi di turismo a tutti i livelli andrebbe chiesto di esibire il passaporto.
Perché di albe e tramonti che incendiano l’orizzonte, di campanili posti in cima a borghi arroccati sulle colline e nell’entroterra, di spiagge chilometriche e pareti rocciose a picco sul mare, così come di scogli affascinanti, preziosi giacimenti archeologici e skyline disegnati dalle cime delle montagne e da paesaggi mozzafiato, diversi per natura e forma, sono sicuramente pieni la penisola del Bel Paese e il Mediterraneo, ma anche, il resto d’Europa ed il mondo intero.
Anche la penisola calabrese ha tutto ciò e lo custodisce anche tutto insieme. Ma la Calabria ha anche di più, qualcosa che altrove nel mondo non c’è, in nessuna forma: un patrimonio diffuso appunto di marcatori ed eventi identitari distintivi che la rendono, di fatto, un’esperienza unica ed irripetibile, fruibile ed emozionante in tutti i mesi dell’anno.
Si tratta di piccolo capovolgimento di paradigma nella consapevolezza e nella progettazione dei turismi. Una diversa consapevolezza da comunicare e condividere anzi tutto all’interno, coinvolgendo i territori come principali attori protagonisti della progressiva riscrittura dello storytelling emozionale di questa terra e della sua reputazione nazionale e internazionale.
L’obiettivo sotteso alla valorizzazione turistica della definizione ed alla individuazione dei MID è di sostanziale superamento dei cliché turistico-paesaggistici della letteratura di settore e delle relative politiche pubbliche messe in campo fino ad oggi; attraverso il racconto inedito di una Calabria emozionale e di fatto inesplorata; una narrazione finalmente unitaria, coerente e senza precedenti, rigorosamente basato sull’attività di ricerca, sulla messa in rete e sulla capitalizzazione di una eredità regionale, oggettivamente straordinaria, ripeto fruibile e vendibile 365 giorni l’anno ed a diversi target di viaggiatori internazionali (corrispondenti ai diversi turismi) fino ad oggi mai o non intercettati in modo strategico e sistematico.
Da qui – è ancora una volta il professore Spartaco Pupo a parlare – la necessità di avviare un indispensabile recupero della memoria storica, anche e soprattutto della storia della Calabria che va riscritta, perché i calabresi o non si conoscono o si vergognano di loro stessi. Da qui l’esigenza di spiegare l’identità non come una sclerosi o un campo minato, ma come fluida coerenza dell’essere che vince la prova del tempo, fatta di linguaggio, retaggio, tradizione, cultura etc. E da qui, quindi, il valore aggiunto dell’analisi e dei Marcatori Identitari Distintivi (MID) in generale e, in particolare, così come definiti da Lenin Montesanto, rispetto alla obbligata riscrittura di un racconto emozionale, esperienziale e identitario delle stesse politiche per i turismi che – conclude Pupo – non dovrebbero quindi essere sganciate da quelle culturali.
Mi piace concludere questo che vuole essere soltanto un contributo alla riflessione sul futuro e sull’autonomia di pensiero ed azione di una Calabria che deve poter contare di più se stessa, per cambiare destino e prospettive, con un ricordo commosso dell’amico Franco Cassano, scomparso pochi mesi fa, già professore ordinario di Sociologia e Sociologia dei Processi culturali e comunicativi all'Università degli Studi di Bari Aldo Moro e tra i più apprezzati docenti di più edizioni dell’Ecole d’été di Otto Torri sullo Jonio, autore insuperato del Pensiero Meridiano.
Bisogna interrompere – scrive il professor Cassano – la lunga sequenza in cui il Sud è stato pensato come oggetto da altri. Il Sud ha in sé la sua completezza, non deve essere considerato come un non-ancora nord. Il Sud non costituisce uno stadio imperfetto ed incompiuto dello sviluppo, ma un altro sguardo, che mira a custodire un’autonomia rispetto al mondo sviluppato. Non bisogna pensare il Sud alla luce della modernità ma al contrario pensare la modernità alla luce del Sud. Bisogna fissare criteri di giudizio diversi da quelli oggi in vigore, bisogna pensare un’altra classe dirigente, un’altra valutazione della povertà e della ricchezza. Il parametro della lentezza, con tempi e spazi propri, propone un modello culturale non fondato sulla produzione e sul consumo illimitati. La tutela di modelli culturali non-produttivistici sarà l’ancora di salvezza dell’umanità nel futuro. Noi meridionali dobbiamo essere i custodi e i propulsori di questa diversa concezione dell’economia. E non si tratta di ritornare al passato, ma di arricchire il futuro.
Rivoluzionare la narrazione e quindi la percezione turistica interna ed internazionale della Calabria, magari con meno jazz e più tarantella (come avrebbe voluto la compianta Presidente Jole Santelli), attraverso i suoi veri marcatori identitari distintivi (che non è il peperoncino ad esempio) ed il recupero della sovranità alimentare (a partire quanto meno dalle mense scolastiche) può rappresentare, oggi, soprattutto con ed attraverso i tanti giovani protagonisti del ritorno manageriale alla loro terra ed all’entroterra, un antidoto spirituale ed economico all’oicofobia ereditata e l’uscita di sicurezza per l’autonomia e lo sviluppo eco-sostenibile di questa terra e del Sud Meridiano nei prossimi anni.