L’attenzione come argine al dolore e porta di luce e bellezza
Il corsivo del Prof. Vincenzo Piro - note sull’urgenza di una biblioteca al centro della Città Unica
Una delle riflessioni più profonde sulla sventura, sul sentimento radicale di perdita del mondo e del suo senso, é stata condotta da Simone Weil; al sentimento di malheur, tuttavia, la filosofa francese oppone, nei saggi raccolti in Attesa di Dio, la forza dell’attenzione. Quando facciamo attenzione, cimentandoci con un problema o attraversando un libro, il nostro sguardo da un lato sorvola con libertà le cose senza lasciarsi imprigionare, senza dare il consenso a una veduta particolare, dall’altro le afferra, protendendosi verso il punto di luce grazie a cui esse svelano il loro segreto.
L’attenzione é cosi una tensione generata dal desiderio: non si é attenti per un privilegio della natura, ma perché si desidera capire; il desiderio compenetra l’attenzione, la spinge, la tende, ne é la vita.
Nell’attenzione che dedichiamo allo studio, alla lettura, compiamo cosi un gesto che ci trasforma, ci porta in profondità; ma l’efficacia di questo gesto interiore ha un peso decisivo anche nel rapporto con gli altri, perché quello sforzo di risolvere un problema, anche quando fallimentare, per la filosofa ha comunque reso l’anima più attenta, più sensibile alla luce, più capace di ricevere: l’attenzione é cosi la condizione che ci permette di volgerci verso lo sventurato e di chiedergli davvero: “qual é il tuo tormento?”, con quello sguardo “che é innanzitutto uno sguardo attento, in cui l’anima si svuota di ogni contenuto proprio per ricevere in se stessa l’essere che essa guarda per come é, in tutta la sua verità. Solo ne é capace colui che é capace di attenzione”.
In questi giorni in cui per la comunità di Corigliano Rossano le parole si misurano con l’intensità del dolore e della tristezza, le riflessioni di Simone Weil possono essere utili: ci indicano un luogo, il silenzio attento, da cui può nascere una parola adeguata. Un altro termine per indicare questo silenzio é raccoglimento, perché dinanzi al dolore e alla tristezza inattesi, l’anima ha bisogno di raccogliere tutte le sue forze; ha bisogno di tornare, tramite il silenzio, a sé, per fare argine, per non sprofondare, per resistere alla tentazione di abbandonarsi al dolore.
Ma la prospettiva aperta da Simone Weil indica anche un compito necessario per la città: se l’attenzione é un argine al dolore, e al contempo il punto in cui la luce e la bellezza entrano nell’anima e quindi nella città, il modo migliore per una comunità di vivere, di coltivare la sua forza, é proprio di coltivare, sollecitare, aiutare l’attenzione. Se vuole crescere, una città ha bisogno soprattutto di luoghi dove l’attenzione possa esercitarsi, dove il seme di imprevedibilità che essa porta possa fiorire.
Il primo e più urgente di questi luoghi per una città é senza dubbio la biblioteca: essa, se viene concepita come un luogo da vivere e non solo come un deposito di libri, é il luogo dove il desiderio si espande, dove la disponibilità interiore piena di intensità può diventare gioia pura, intelligenza.
Franz Kafka, in una lettera a Oskar Pollak, così esprime il modo in cui un libro sollecita l’attenzione: “Un libro é un pugno che ci martella sul cranio, il piccone che rompe il mare di ghiaccio che é dentro di noi”.
La biblioteca é un luogo di possibilità, dove già la presenza fisica di libri crea degli orizzonti disponibili per l’attenzione. Essa é perciò un moltiplicatore del desiderio di capire, della sua apertura, ma anche una porta verso altre vite, altre realtà, altre possibilità anche per la città.
Per questo motivo uno dei segnali più inquietanti della debolezza del nostro territorio, che non smette di destare sorpresa, é la poca disponibilità di libri, così come la mancanza di spazi pubblici adeguati per ospitare pensieri, silenzi, riflessioni.
Non smette di scandalizzare poi il fatto che da decenni i due centri più abitati della città unica, Corigliano Scalo e Rossano Scalo, non abbiano un vero spazio dedicato alla lettura, in cui siano presenti dei libri, ed é il segno evidente della mancanza di fantasia, di intelligenza, che caratterizza le classi dirigenti, almeno nella gestione della cosa pubblica.
Tutto ciò risulta ancora più stridente e paradossale se si pensa alla storia di Corigliano Rossano e ai suoi monumenti più importanti: il Patire, nel Medioevo importantissimo luogo di trasmissione dei libri, il Codex Purpureus, o se si pensa alle figure che hanno strutturato l’anima dei calabresi, legate radicalmente al silenzio, all’attenzione, al libro: San Nilo, San Bruno, Gioacchino da Fiore, San Francesco di Paola. Recuperare la centralità della biblioteca per Corigliano Rossano significa dunque anche riannodare il filo della propria storia.
La città unica, che per dimensioni é ormai comparabile a città come Pisa o Siena, dovrebbe dunque cominciare a pensare il suo futuro a partire dal luogo in cui ogni creatività, ogni forza morale, ogni possibile resistenza al male e alla barbarie nascono: il libro, la biblioteca.
È la biblioteca il luogo che introdurrà in questa città quella vita che sembra mancare, che spazzerà via i pensieri stantii, il senso di rassegnata immobilità che appesantisce questo territorio. Come scrive Simone Weil: “Quand’anche gli sforzi di attenzione restassero sterili per anni, un giorno una luce esattamente proporzionale a questi sforzi inonderà l’anima”.
Sarebbe bello se la nascita della Città unica fosse accompagnata da una scommessa su questa luce.
Il Corsivo è curato dalla reggenza dell'Eco dello Jonio con la preziosa collaborazione della prof.ssa Alessandra Mazzei che ogni settimana offre agli utenti la lettura in forma esclusiva di contributi autentici, attuali e originali firmati da personalità del mondo della cultura, della politica e della società civile di fama nazionale e internazionale