LAMEZIA TERME Giuseppe Bono, di Pizzoni, (Vibo Valentia) guida Fincantieri dal 2002. L’azienda si propone di ricostruire il viadotto Morandi, «anche se nessuno ancora ce lo ha chiesto». La storia di un manager di Stato riconfermato da governi di ogni colore. «Siamo in grado di ricostruire il ponte Morandi, anche se nessuno per il momento ce lo ha chiesto». Fare presto è la parola d’ordine, dopo il disastro di Genova. E sotto il moncone ovest del viadotto sono arrivati giovedì anche i vertici di Fincantieri e Cassa depositi. Il virgolettato è di Giuseppe Bono, amministratore delegato che guida il gruppo leader al mondo nella costruzione navale di unità da crociera. Da circa un anno, Fincantieri è entrata nel segmento delle infrastrutture, facendo convergere le proprie competenze nella nuova sede di Verona, e sta per concludere l’acquisto della Cordioli di Valeggio, anch’essa attiva nello stesso settore. Bono, uno dei più longevi manager di Stato, è nato 74 anni fa a Pizzoni, nel Vibonese. È partito da un piccolo paese della provincia calabrese per approdare a uno dei colosso dell’economia italiana, con una parabola che lo ha visto protagonista sotto governi di ogni colore politico. «Se vogliono, lo rifacciamo noi il cavalcavia: in Belgio stiamo costruendo quattro ponti. Nel caso, noi siamo pronti». Poche parole, per quello che Sergio Rizzo su Repubblica definisce «un monumento dell’industria pubblica». Bono guida Fincantieri dal 2002 ma la sua parabola è iniziata nella Prima Repubblica. Nel 1987 la prima poltrona importante: amministratore delegato dell’Aviofer Breda, azienda militare dell’Efim, ai tempi in quota Psdi. Quando ai vertici arriva Gaetano Mancini, cugino del leader socialista Giacomo, per Bono si schiudono le porte della direzione generale dell’ente. Bono traghetta Efim in Finmeccanica. Che “conquisterà” quando al governo c’è il socialista Giuliano Amato. Dura poco: con il ritorno di Berlusconi al governo il manager finisce in Fincantieri. Azienda nella quale viene confermato per cinque volte. E non è detto che la ricostruzione (finora solo ipotizzata) del ponte Morandi non faccia scattare la sesta. Sarebbe il coronamento di una longevità senza precedenti per il calabrese partito a 18 anni per fare l’operaio a Torino («anche per amore della Juventus», dirà in un’intervista), poi tornato per lavorare alle Omeca di Reggio Calabria prima di spiccare il volo nelle aziende di Stato. Della politica calabrese ricorda il primo presidente della Regione, Antonio Guarasci («ci illuminò tutti ma ce lo siamo dimenticati»). E apprezza il mare di Tropea, dove torna quasi ogni anno per una decina di giorni, durante le ferie.
(fonte Corrieredellacalabria.it)