di LUCA LATELLA Quali benefici apporterà la fusione dei comuni di Corigliano e Rossano in termini di servizi al cittadino? Se e quando si farà? Domande che iniziano a porsi un po’ tutti.
La mancata approvazione della delibera di fusione da parte del Consiglio comunale di Corigliano (già approvata all’unanimità dall’assise rossanese lo scorso 16 gennaio) ha aperto uno squarcio profondo sulla questione. L’impressione che percepisce il cittadino – già recalcitrante di suo per reticenze storiche – è che si tratti di un’operazione da mettere in atto per convenienza. Il che in parte potrebbe essere verosimile in virtù degli innumerevoli vantaggi economici.
La sfida, ancora tutta da proporre alle cittadinanze, nel frattempo, passa dalla politica. Dagli amministratori, quindi. I quali per primi dovrebbero far comprendere chiaramente come funziona, educare alla fusione, quali potrebbero essere i vantaggi (o gli eventuali svantaggi), per poi demandare ai cittadini l’ultima decisione – determinante nell’istituzione del comune unico – attraverso il referendum. In questi mesi il rimpallo di responsabilità sulla reale volontà di fondersi, anche sui punti da inserire nella delibera, hanno dilatato a tempo indeterminato la questione. E ciò sta alimentando il partito degli scettici e di chi si dice convinto che solo l’unificazione della gestione dei servizi dia effettiva convenienza all’operazione fusione. E qui sta proprio il nocciolo della questione, poiché le due amministrazioni non sembrano essere pronte a perdere la propria indipendenza nella gestione delle risorse, con riferimento nemmeno troppo velato rivolto alla Centrale unica contratti. Un argomento per il quale, nei mesi scorsi, non sono state poche le polemiche fra le due amministrazioni.
Bandendo, poi, le sterili polemiche legate ai campanili, terreno sul quale troppo facilmente si dà vita a battaglie inutili,
è compito della politica e degli amministratori quello di spiegare bene alle due città come stanno le cose, quindi quali le conseguenze e le ricadute sul territorio del comune unico, quali i benefici ma anche le criticità. Fra le molte
possibili resistenze alla fusione, quella che spesso ha bocciato l’adozione di questo strumento in Italia, riguarda la soppressione dei Comuni preesistenti e la conseguente perdita d’identità, perché si darebbe vita ad un nuovo ed unico ente con un sindaco, un consiglio comunale e se lo statuto lo prevede, il mantenimento delle due municipalità.
I vantaggi? Certo, il processo culturale impegna del tempo ma sono indubbi quelli sociali ed economici, così come nessuno priverà della propria identità storica sia i coriglianesi che i rossanesi. La legge Delrio prevede l’esenzione dal patto di stabilità per cinque anni (in sostanza ai comuni viene chiesto di incassare più di quanto spendono per contribuire al risanamento del debito pubblico), una corsia preferenziale ai bandi regionali, priorità nella costituzione di
Area Vasta, contributi straordinari da parte dello stato per dieci anni (20% in più rispetto ai trasferimenti erariali del 2010), agevolazioni fiscali per le assunzioni e per i rapporti di lavoro a tempo determinato. In ultimo, e non certamente per ultimo,
i sindaci in primis sono convinti che la città unica aumenterebbe esponenzialmente il proprio peso specifico nei piani alti della politica. Insomma, il modello fusione sembra essere tutto in divenire, in attesa che le due amministrazioni chiariscano quei punti della discussione che stanno bloccando l’iter. Sempre che questa operazione la si voglia.
«L’unione non funziona come dovrebbe». Per comprendere meglio questo strumento amministrativo, abbiamo chiesto a Cesare Marini, il sindaco di San Demetrio Corone e già parlamentare, di raccontare a
L’Eco dello Jonio l’esperienza maturata dall’Unione dei Comuni “Arberia”.
Costituita nel 2004 fra San Demetrio Corone, Vaccarizzo Albanese, San Cosmo Albanese, Santa Sofia d’Epiro e San Giorgio Albanese, l’unione – dice subito Marini – «ha funzionato fintanto che c’erano le risorse». La formula, infatti, era servita prevalentemente per intercettare fondi. Circa 100 miliardi di vecchie lire che «servirono – rammenta Marini – per tutta una serie di opere pubbliche nei vari comuni, per il rifacimento della rete idrica e fognaria e per un accordo di programma quadro culturale. A Santa Sofia acquistammo Palazzo Bugliari per trasformarlo in un museo, a San Demetrio consolidammo il convento di Sant’Adriano, costruimmo due anfiteatri a San Cosmo e Vaccarizzo, riqualificammo il centro storico di San Giorgio». Ad oggi, insomma, l’unione «serve a poco o nulla» perché ha un costo che i comuni non possono permettersi. Il motivo? «L’unione ha una legittimità se si attua lo spirito legislativo – afferma ancora il sindaco di San Demetrio – cioè il trasferimento di servizi dai comuni ai cittadini. In sostanza, dovrebbe gestire tutti i servizi ma nessuna delle amministrazioni locali è disposta a perdere la propria sovranità». Di recente, proprio per bypassare questa problematica, qualche sindaco pare abbia proposto di trasformare l’unione, rimasta solo sulla carta ormai, in convenzioni ad hoc. «La nostra esperienza di unione – avanza Cesare Marini – non solo non funziona ma aumenta la spesa degli enti comunali. All’atto di costituzione non dovevamo fronteggiare costi particolari perché avevamo delegato i vari dipendenti comunali a gestire apparati come la segreteria o la parte finanziaria e la tesoreria. Oggi, invece, il segretario, per esempio, è sorteggiato dalla Prefettura ed in base al numero di abitanti, che aumenta con l’Unione, deve essere retribuito, così come avviene per i revisori dei conti. Ebbene, tutto ciò grava sulle casse comunali per un minimo di 40 mila euro annui, senza ricevere in cambio alcun vantaggio». Per Marini, insomma, l’unione non è vantaggiosa, al contrario di quanto potrebbe accadere con le fusioni dei comuni che manterrebbero le municipalità. «La legge Delrio – specifica – lascia molta autonomia ai comuni nel determinare il nuovo statuto. Mantenendo i municipi, potrebbe rimanere separata la gestione dei servizi da erogare. La fusione, inoltre, farebbe maturare tutta una serie di vantaggi come i maggiori trasferimenti da parte dello Stato». In quest’ottica, la fusione di Corigliano e Rossano, a detta dell’ex deputato, sarebbe certamente conveniente a patto che funga da traino per l’intera Sibaritide, sia dal punto di vista prettamente sociale che storico. «La storia urbanistica d’Italia – conclude – si è sempre basata sui municipi trainanti. In Calabria i troppi campanili hanno rappresentato un problema perché non abbiamo città trainanti. In Campania nessuno discute il ruolo di Napoli o di Milano in Lombardia. Qui da noi possiamo dire che Reggio, Catanzaro o Cosenza siano state città guida?»
La Sibaritide avrà finalmente la possibilità, concreta, di sedersi attorno ad un tavolo. E di parlare di Politica. Cosa che ormai non si fa da tempo. Questo vasto territorio avrà, cioè, l’opportunità di confrontarsi, nel corpo vivo delle grandi questioni comuni, faccia a faccia tra i diretti protagonisti, rappresentanti democraticamente eletti delle diverse comunità. È un metodo che può funzionare. È uno spazio che serviva, di cui sentivamo in fondo la mancanza, soprattutto in questo storico momento di fermento e dibattito, dal Basso all’Alto Jonio, passando dall’Arberia, sui diversi strumenti dell’unione e della fusione. Ne è convinta
Rosanna Mazzia (
foto), sindaco di Roseto Capo Spulico, che rispondendo alle nostre domande in redazione, è riuscita a trasferirci natura ed obiettivi autentici della novità avviata sabato scorso (14 marzo) al Castello Ducale di Corigliano: l’assemblea permanente ed itinerante dei sindaci della Sibaritide. Quella del collega Giuseppe Geraci – ci dice – è stata una vera ed importante intuizione in una fase particolarmente delicata per questo territorio.
Un momento di confronto politico tra i primi cittadini, per trovare sintesi ed una diversa legittimazione unitaria rispetto ai livelli sovra comunali, Regione in primis. E che si dimostrerà utile – scandisce – anche rispetto alla verifica in atto sugli strumenti più efficaci di aggregazione funzionale tra comuni. Fin qui il metodo. Vi sono poi i contenuti. Ed è qui che la Mazzia dimostra di avere le idee ancora più chiare. Ok – dice – l’elenco delle emergenze che il nostro territorio in particolare eredita e sulle quali non potremo distrarci per un attimo. Abbiamo fatto benissimo a fissare un elenco di priorità sulle quali confrontarci, dalla sanità (che sarà all’ordine del giorno della seconda riunione a Trebisacce) al dissesto idrogeologico, dai rifiuti alla tutela dell’ambiente, etc. Vi sono però – aggiunge – anche le opportunità, i progetti e soprattutto la necessità di avviarsi a mutare approccio al governo stesso delle questioni e delle occasioni, troppo spesso mancate. Mi riferisco, ad esempio, alle
politiche per i turismi, affrontate quasi sempre con superficialità e approssimazione. Il progetto Matera, a quattro passi da noi, non nasce a caso. Dietro, ci sono un regista ed una strategia. Il messaggio è fin troppo chiaro: le istituzioni locali devono saper affidarsi a competenze professionali esterne. La tuttologia ha prodotto e continua a produrre solo macerie, soprattutto sul turismo. Per decenni abbiamo importato modelli già falliti altrove, snaturandoci e perdendo autenticità. Ma è proprio da quest’ultima, invece – chiarisce – che dobbiamo ripartire oggi. Restituendo un’anima ai nostri territori, capendo che è soltanto con l’esclusività e con l’identità, in particolare con la ricettività diffusa nei nostri centri storici e con una diversa attenzione alle nostre produzioni agroalimentari di qualità (a Roseto sono impegnati sulla De.co. per diversi prodotti locali), che forse riusciremo ad emozionare ed attrarre sempre più ospiti, a competere sui mercati e dunque a far girare le nostre economie. Senza svenderci – chiosa – alle multinazionali delle trivellazioni!