Noi siamo Rivoluzione, la vera musica un giorno si vendicherà!
Dalle declinazioni del Rock all'irriverenza del Punk, siamo passati dal vinile ai cd, dal digitale all'autotune. Fra pochi giorni inizia Sanremo ma la vera musica non esiste più
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La musica è un’attività che si fa tra amici, con il sorriso sulle labbra.
Parto da questa definizione, per esplicitare un discorso che, a giudicare dall’argomento, potrebbe sembrare a prima vista leggero, ma non lo è, specie in questi tempi volgari e decadenti.
Innestare la tematica “Rivoluzione” in campo musicale vuole dire, necessariamente, compiere un viaggio a ritroso e confrontare due fasi storiche ben distinte, nelle quali la rivoluzione è avvenuta con accezioni e risultati totalmente opposti: prima di segno positivo e poi di segno negativo; ma andiamo per ordine.
Il primo vero e proprio cambiamento nel mondo della musica è con l’avvento del Rock negli anni sessanta. Sebbene in fase embrionale, lo sconvolgimento radicale nelle sonorità e conseguenzialmente nei costumi fa sì che per la prima volta i giovani avvertano di non essere più una sorta di sala d’aspetto in attesa di diventare adulti, ma diventano una vera e propria categoria a sé stante.
Questa è stata la prima vera rivoluzione che ha avuto effetti positivi con riverberi diretti in tutte le sfumature della società. Non è esistita, infatti, una qualsiasi sfaccettatura della nostra vita che non sia stata influenzata da questa immensa onda emozionale, portatrice di una esponenziale valenza culturale che ha nutrito il cuore, la mente e le anime di un’intera generazione.
Il rock ha costituito, infatti, una palestra di curiosità e contaminazione, sviluppandosi in svariati rivoli, ognuno con la propria determinata identità sonora, con una incredibile fioritura di gruppi ed artisti che hanno dato prova di poesia e creatività, coraggio e sperimentazione,
Sembra incredibile ma è tutto vero: in ogni ambito dell’enorme categoria del rock si affermano i migliori gruppi. La musica, sostanzialmente, ha precipua collocazione nella vita delle persone e gli appassionati hanno la possibilità di scegliere il meglio secondo i propri personali gusti.
Si parte con il famoso dualismo BEATLES/ROLLING STONES che diventa una riproposizione di Coppi/Bartali o Guelfi/Ghibellini, si arriva alla complessa e onirica architettura della Progressive, con gruppi come PINK FLOYD, YES, GENTLE GIANT, KING CRIMSON, JETHRO TULL, EMERSON LAKE & PALMER, passando per l’hard rock dei LED ZEPPELIN o del DEEP PURPE, o il rock psichedelico dei DOORS.
Non mancano i grandi artisti dalla personalità accentratrice ma profonda, DAVID BOWIE e LOU REED su tutti, il cui rock decadente che ha saputo scavare nelle miserie dell’animo umano, quasi quanto i grandi scrittori, ha lasciato un segno in menti e coscienze.
Il rock decadente approfondisce le tematiche più difficili della società e gli aspetti dell’animo umano più sordidi: droga, suicidio, alcol, miserie familiari. Questi sono solo alcuni degli esempi che sono stati approfonditi nella storia di questo genere. La particolarità, naturalmente, sta nel parlarne trasformando queste problematiche in pura poesia.
Poi abbiamo anche il glam rock dei ROXY MUSIC e degli SPARKS su tutti.
Il glam rock è un genere nel quale la strumentistica ha una grande teatralità. Affronta un’ampia gamma di temi, tra cui l’amore romantico, le incompatibilità caratteriali sia amicali che amorose, la ribellione contro lo status quo, le preoccupazioni sociali e gli stili di vita.
Ognuno di questi generi rappresenta, in sostanza, una rivoluzione nella rivoluzione, con nuove sonorità, sperimentazioni audaci e ricerca di sensazioni sopite dell’animo umano.
Poi arrivano altre due meta-rivoluzioni, con due generi molto diversi tra loro ma unificati dai borghesi benpensanti in un’unica poltiglia rumorosa.
L’heavy Metal, derivato dall’hard rock, nato tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta e sviluppatori nel Regno Unito e negli U.S.A., contraddistinto, soprattutto, da distorsioni di chitarra, assoli e ritmi duri e forti, con gruppi come i METALLICA, gli IRON MAIDEN, i BLACK SABBATH e i JUDAS PRIEST su tutti, con altre svariate derivazioni nel Gothic Metal, Epic Metal e quant’altro; senza dimenticare – e come si potrebbe – il sontuoso MALMSTEEN, maestro di velocità esecutiva ed abilità tecnica con la sua chitarra.
Soprattutto, però, a sconvolgere i benpensanti, arriva da oltre manica il PUNK, vera e propria rivoluzione nell’atteggiamento. Il punk puro nasce da un’esigenza ben specifica: in un’epoca nella quale vigeva una musica rock meravigliosa e complessa come la progressive, suonata da musicisti che avevano diplomi di conservatori e che si rendevano artefici di architetture strumentali molto complesse, il rischio per i giovani che desideravano avvicinarsi alla musica era scoraggiarsi perché non sarebbero mai arrivati a quei livelli.
Il punk ha dimostrato che chiunque avesse voglia e coraggio di salire su un palco, anche se non dotato di particolare perizia musicale, poteva farlo. La cosa importante è che avesse una precisa identità sonora.
I temi del punk sono vari ma il filo conduttore è sempre costituito da un grido di ribellione contro il sistema borghese. Il messaggio è: “non vi piacciamo ma vi costringiamo a scandalizzarvi al nostro passaggio”.
Il punk è stato spesso classificato solo come sterile provocazione, eppure molti benpensanti hanno dovuto scandalizzarsi di fronte a quelle provocazioni.
Perché questo genere musicale, che è stato anche e soprattutto una attitudine mentale e a volte anche uno stile di vita, ha offerto un insegnamento di disarmante e sincera semplicità: chiunque avesse delle cose da dire e anche sufficiente rabbia per poterlo fare, era legittimato a salire con dignità su un palco per farlo. Questo, se ci riflettete bene, è semplicemente meraviglioso.
Ma, soprattutto, questo genere ha rappresentato l’abbrivio per grandissime carriere, perché tanti artisti sono partiti dal punk per poi avvertire l’esigenza di dare sfogo ad argomentazioni che non riuscivano più a rimanere rinchiusi in quei semplici tre accordi maggiori.
La domanda nasce spontanea: può un adolescente odierno immaginare cosa abbia significato tutto questo per i pari età di quel periodo storico? Quale meravigliosa esperienza quotidiana e quasi permanente abbia coltivato l’anima di giovani che volevano lanciare l’assalto al cielo?
Il rock ha modificato le coscienze, creato conflitti ma anche fermato guerre, perché per fare del rock, ma anche per ascoltarlo nella giusta predisposizione, sono state sempre necessarie rabbia e passato.
Questa è stata davvero una RIVOLUZIONE e lo è stata con accezione e risultati positivi e soddisfacenti.
Ma non di meno dobbiamo porre l’accento sul cantautorato italiano che ha rappresentato un grande elemento culturale del nostro paese e che ha saputo affrontare temi sia leggeri che complessi con delicata ma incisiva poesia. Sono stati così tanti i grandi cantautori in una precisa fase storica che si è finiti col coniare il termine scuola per indentificare la collocazione geografica degli appartenenti: abbiamo avuto così la scuola romana, la scuola genovese, la scuola bolognese, la scuola milanese.
Ora arriviamo ai tempi moderni e addentriamoci in un’analisi oggettiva e proprio per questo, spietata.
Una volta le case discografiche avevano soldi da investire e competenze nel proprio organico e questo consentiva di non pensare alle classifiche ma alla qualità; per cui, quando si riusciva ad individuare un talento, lo si metteva sotto contratto anche per cinque album, pur avendo la consapevolezza che all’inizio non avrebbe venduto gran che. Il messaggio era: noi crediamo in te e nel tuo talento, per cui ti daremo il tempo di crescere e continueremo ad investire denaro e risorse materiali sulle cose che hai da dire e sui tuoi progetti. Infatti, se volgiamo lo sguardo verso tutti i grandi della musica, sono ben pochi quelli che hanno fatto grandi numeri al primo colpo. Quelli che hanno portato qualcosa di veramente innovativo, a dire il vero, non sono mai stati capiti subito.
Oggi, si è snaturato completamente il naturale percorso che dovrebbe essere seguito da chi fa musica: imparare uno strumento o imparare a cantare, scegliere il genere che si vuole proporre, unirsi ad altri ragazzi con la medesima passione; provare e riprovare nella leggendaria cantina, per poi iniziare la vera gavetta, salendo su un palco e proponendo i propri pezzi per poi cercare di farsi strada.
Nella triste decadenza contemporanea, invece, l’era furiosa dei social e del tutto e subito ha capovolto ogni paradigma.
Ora, le case discografiche, sicuramente anche per colpa della pirateria e di conseguenza della smaterializzazione degli album con trionfo della musica liquida che prevale su cd e vinili, non hanno più prospettiva a lungo termine ed hanno come unico interesse il risultato hinc et nunc, a breve termine; circostanza, questa, che si traduce con i cosiddetti eroi di stagione privi di cultura, repertorio e padronanza della italica lingua e capaci unicamente di proporre l’immancabile, quanto sciagurato, tormentone estivo.
Questa è stata la seconda rivoluzione sostanziale nel campo della musica (o sarebbe meglio dire della non – musica), cristallizzata in una involuzione totale sia nella forma che nei contenuti. Oggi la palestra selettiva non è più il palco, ma i tik tok, insulse macchiette auto referenziali dove ragazzi privi di capacità sociale latu senso postano i loro provini fai da te. Tra costoro, qualche fortunato accede al livello successivo costituito dai talent nel quale si fa strada chi canta meglio degli altri.
Ora, proviamo ad immedesimarci in uno di questi fortunati vincitori talent: hai sbaragliato una agguerrita concorrenza e messo in fila dietro di te altre centinaia di ragazzi, in sostanza ti senti in cima al mondo. Ma poi cosa accade? Entri in una sala di registrazione e non hai un repertorio, non conosci la musica, non sai nemmeno come si registri un pezzo e continuerai a non saperlo; infatti, ciò che vedrai attorno a te sarà qualche esperto di computer che metterà insieme un groove di batteria, qualche plugin di tastiere e un riff di chitarra ma che non sono stati composti per il tuo pezzo, bensì già preconfezionati, surgelati possiamo dire. Il tutto viene amalgamato per creare il tormentone che ti farà conquistare la vetta delle piattaforme digitali fatte di like: ti sentirai un Dio in cima al mondo della musica, peccato che nel mondo reale nessuno comprerà mai un tuo disco vero e reale.
Perché la gavetta non è costituita dal tik tok nel chiuso della propria cameretta; la gavetta è salire su un palco e cantare o suonare le proprie cose davanti a venti spettatori di cui la metà non ti sta a sentire e forse nemmeno ti vuole.
Forse, per qualcuno ancora più fortunato ci sarà addirittura l’olimpo di San Remo, dove verrai spinto dal tuo potente marchio per arrivare in cima per quella edizione (Valerio Scanu lo ricordate?) per poi essere dimenticato subito dopo.
Perché la vera classifica nel mondo della musica è una ed una soltanto: quella del tempo e non c’è modo di sfuggire a questa selezione naturale. Secondo voi quanti tra i pezzi estivi o sanremesi lasceranno una traccia anche solo tra dieci anni? Eppure, noi continuiamo ad emozionarci quando ascoltiamo pezzi anche di mezzo secolo fa. Riconosciamo subito l’attacco di chitarra di SMOKE ON THE WATER dei DEEP PURPLE o l’intro di THE MAN WHO SOLD THE WORLD di DAVID BOWIE (anche nella versione acustica dell’Unplugged in New York dei NIRVANA); ricordiamo ancora, canzone per canzone, tutto l’album LA VOCE DEL PADRONE di FRANCO BATTIATO, o ci lasciamo trasportare da CONTESSA di ENRICO RUGGERI. o da LA MIA BANDA SUONA IL ROCK di FOSSATI. Sono tutti pezzi che hanno mezzo secolo o giù di lì eppure le sensazioni che ci hanno donato sono ancora attuali.
Perché una grande canzone è tale quando esce dal contesto storico nel quale viene scritta, esattamente come avviene in letteratura. Poiché ci sono determinate sensazioni dell’animo umano che rimangono sempre immutabili nel tempo.
Quindi, come si possono tratteggiare e descrivere queste emozioni per farne musica che venga consegnata alla storia e non solo alla cassa? La risposta è semplice: dando contenuti e per dare contenuti occorre avere padronanza, cultura e lessico. Per cui, come si può pensare che chi detiene un vocabolario di massimo duecento termini (a voler essere ottimisti) possa lasciare un segno nel mondo culturale musicale? Se giganti come De Andrè, Fossati, Battiato, Ruggeri – e la lista sarebbe lunga – possedevano o possiedono un vocabolario di decine di migliaia di parole, chiaramente il paragone risulta impietoso.
Il fatto è che se non leggi non puoi scrivere, perché quello che ne verrà fuori saranno obbrobri come “sesso e samba” o “è caramello non è cioccolata”. Purtroppo, però, questa nuova, nefasta rivoluzione ha avuto ed ha una potenza mediatica a supporto che difficilmente non poteva raggiungere il suo precipuo scopo, ossia annichilire le giovani coscienze e renderle lobotomizzate. Non si possono definire altrimenti persone che ascoltano e cantano testi trap nel quale si incita alla violenza di genere, cantati (con il supporto dell’Autotune) da gente che ha come aspirazione solo fare soldi senza lasciare nulla che abbia una qualche valenza reale e il nuovo principe di questa vacua categoria: Tony Effe, sarà anche partecipe a questo San Remo.
Già, l’autotune e spendiamole due parole su questo imbroglio generalizzato. Secondo voi uno che ha la fobia del sangue può fare il medico chirurgo? Non lo credo possibile. Però appare possibile che gente stonata e che non sa cantare si affidi a questo strumento per poter “cantare” dal vivo, con conseguenti magre e barbine figure nel caso scellerato – come è avvenuto – che il medesimo autotune non funzioni nel corso della performance.
Eppure, i giovani musicisti interessanti non mancano nemmeno oggi. Da qualche parte i nuovi De Andrè, Fossati, Battiato, Gaber, Ruggeri ci sono eccome. Il problema è, come sciorinato in precedenza, che manca il supporto adeguato che permetta loro di esprimersi e trovare spazi e collocazione.
La televisione è la principale fonte d’innesco di tale sciagurata inversione di tendenza rispetto al glorioso passato e non dobbiamo nascondercelo. Basti pensare che trasmissioni come “Musicultura” (kermesse per giovani talenti cantautorali) o “Gli occhi del musicista” nella quale si ripropongono temi legati alla grande musica italiana sono relegati dalla rai o in terza serata o addirittura obliati con eccezione dell’unica serata finale. Di contro, assistiamo ogni anno alla decadenza irreversibile di quello che una volta era il festival della canzone italiana e che le ultime direzioni artistiche degli scorsi anni ha avuto il definitivo tracollo qualitativo.
Questa tendenza negativa viene seguita anche in molti concerti nelle piazze delle nostre città; basti pensare che molti amministratori chiamano non la gente di qualità (che per inciso ha anche cachet più contenuti) ma gli analfabeti funzionali che, però, hanno milioni di like o visualizzazioni sulle piattaforme digitali.
Cosa, dunque, possiamo aspettarci dalle nuove generazioni se molti amministratori (non tutti per fortuna) ragionano pensando al ritorno in tema di voti giovanili piuttosto che provare ad educare la propria cittadinanza adolescenziale?
Al termine di questa analisi che non si appalesa nichilista ma semplicemente realista, una domanda sorge spontanea. Esiste la possibilità di invertire la tendenza e provare ad ipotizzare una nuova rivoluzione che riporti la qualità musicale nella nostra quotidianità? Lo confesso, sono pessimista a riguardo, se estendo il ragionamento in termini assoluti, ma una cosa ognuno di noi, nel proprio piccolo, credo possa farla: trasmettere l’amore per il bello; prospettare il mondo musicale che molti ragazzi non conoscono e continuare ad avere fede nella Musica, quella con la M maiuscola.
Sì, perché la vera Musica un giorno si vendicherà.
di Francesco Russo