Presentato a Co-Ro il libro "Ciarlavano le rondini" dell'artista Umberto Romano
Romano si immerge nei dolori di questo tempo e cerca, attraverso la produzione di momenti poetici e artistici, di porre all’attenzione il dolore
CORIGLIANO-ROSSANO - Mi assalgono ricordi dolcissimi, voci, abbracci. Riaffiorano nella mia mente chiacchierate all'ombra o attorno ad un pasto, qualche discussione accesa, un fiume d'idee e d'ideali che mi hanno portato dove sono ora, che per prima mi hanno spinto oltre la mia Calabria contadina, alla ricerca di un orizzonte più ampio... un orizzonte dove Tutti siamo uno, dove le vite di ciascuno, lontani e vicini, poveri e potenti, bianchi e neri, oppressi e liberi, sono legati indissolubilmente e respirano alla ricerca della stessa Verità, sotto lo stesso cielo. Un mondo, e tra questi il libro racconta la vita del popolo del deserto, senza terra, i Saharawi, dove non posso negare a me stessa la responsabilità pressante di rendere migliore il tempo che mi è contemporaneo.
È il messaggio che si legge sulla quarta di copertina del libro "Ciarlavano le rondini" di Umberto Romano.
Dopo l'uscita in tutte le edicole e sulla piattaforma internazionale di Amazon, la raccolta di poesie è stata presentata venerdì scorso insieme agli Amici dell’arte, presso la Bibiblioteca Diocesana nel centro storico di Rossano in un evento patrocinato dal Comune di Corigliano-Rossano.
Nel suo intervento Giuseppe De Rosis ha detto: «Se ogni buon libro nasce da una ferita- personale e/ o collettiva-questa raccolta di liriche ondeggia tra un polo privato e quello del dolore di una società che si autodistrugge, un confronto serrato tra la ragione è il cuore. Il cuore dei poeti che tutto move. Pablo Neruda eroe indiscusso, combatteva attraverso il verso che si fa poesia i soprusi le angherie, la libertà negata. Umberto Romano si immerge nei dolori di questo tempo e cerca attraverso la produzione di momenti poetici e artistici di porre all’attenzione il dolore. Tanto dolore che attanaglia i poveri del mondo. Ma ritorniamo alla poesia. La poesia che da’ voce agli ultimi, la poesia che vince il silenzio, i mercimoni, l’indifferenza, la poesia che rompe i muri e ci ricorda le nostre responsabilità: questo il messaggio di una serata che ci ha ricordato che ci sono troppi cadaveri nel mare che fu di Virgilio, dal quale i governanti europei avrebbero tanto da imparare. Il canto di Nausicaa è dimenticato come è dimenticata la considerazione che gli uomini sono legati gli uni agli altri e che la vita di ogni uomo è parte della nostra. Abbiamo ricordato ieri che è spietato sbagliato sbarrare la strada ad un’unanimità sofferente, a migliaia e migliaia di senza voce che sfidano deserti, montagne ed onde alla ricerca di un rifugio dove coltivare la speranza di un domani migliore. “ Nessun uomo è un ‘isola”, scriveva un poeta secoli fa….».
L’autore non concepisce i due momenti autonomi, ma, «in un processo di osmosi, li interseca, li annoda, pur cogliendone le peculiarità. Con saggia audacia passa dalla sua sofferenza a quella degli umili, degli sconfitti, degli ultimi, che la storia neppure registra, se non nell’ora del naufragio, della fine».