Chi era veramente il primo Duca di Crosia? La figura di Teodoro negli scritti di autori ed editori
Ecco la seconda parte della biografia dedicata al nobile duca rossanese, mecenate del tempo, amante del gusto, dell’arte e virtuoso della musica
Quanto finora riferito (per leggere la prima parte clicca qui) ci ha portati a conoscere solo alcuni aspetti di Teodoro legati alla sua storia di feudatario, di fondatore dell’omonimo Casale di Mandatoriccio, di imprenditore e commerciante; ma osserviamo qualche aspetto che riguardi la sua figura, l’uomo, credo anche poco conosciuto nella stessa Rossano, sua patria di origine. E allora chi era veramente il Duca di Crosia vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo?
Secondo alcune informazioni contenute in un libro di Friedrich Lippmann, edito in Germania, Teodoro si rivelò un grande dei Mandatoriccio. Dai pochi cenni riportati nel libro si legge: «All’Illustrissimo Signor Mio, e padrone osservandiss. Il Signor Theodoro Mandatoricci Duca di Crosia, e signore delle Baronia di Pietrapaola, Caloveto & Calopezzati, &c. Dalle tante obligationi ch’io riconosco…»9.
Da altre fonti, tra cui il Falanga, ma riferite alla medesima pubblicazione, sappiamo che Teodoro amava la musica, amava il canto e aveva una bella voce. Egli stesso cantava “arie” che commissionava, anche ospitando compositori; è il caso di Pietro Antonio Giramo, compositore di brani musicali, che dedica a Teodoro il suo componimento dal titolo: “Arie a più voci” (oggi diremmo “canzoni” a più voci) pubblicate a Napoli il 20 giugno 1630 NV 1257 e conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, tanto che in una sua lettera a Teodoro, duca di Crosia, il compositore Giramo ricorda il periodo felice di permanenza presso di lui nei giardini del Ducato ringraziandolo, per sua ospitalità, ma era lo stesso Teodoro che a volte scriveva arie musicate (canzoni) «le quali – scrive ancora il Giramo – honorate più volte da lei con il canto (havendo á tante altre virtù aggiunta anche quella della musica)»10.
A Teodoro, a quel tempo, piaceva essere attorniato di studiosi, artisti, personaggi. Amava essere circondato delle cose belle, di gusto, si attorniò di molte opere d’arte, tanto che nell’inventario si trovarono busti marmorei e molti quadri. Teodoro era molto stimato nei circoli culturali dell´epoca; basti ricordare che il grande editore napoletano Ottavio Beltrano, nativo di Terranova di Sibari, nel ristampare L’Almanacco Perpetuo di Rutilio Benincasa nel 1636, Almanacco già edito nel 1593 da uno stampatore veneziano attivo nella città partenopea e mio omonimo, Giovanni Giacomo Carlino, lo dedicò a Teodoro Mandatoricci, duca di Crosia e signore della Baronia di Pietrapaola, Caloveto e Calopezzati, con queste parole: «Efficace, e viva non apparirebbe la forza della virtù, se quella (come à Calamita, che tira à se il ferro) anco à se ella non tirasse da lontano gli animi altrui: Et è già grantempo (Eccellentiiss. Signore) che i virtuosi gridi della vostra Gloria mi percossero gli orecchi co’ soavissimi organi del suo nome, accennandomi con la forza dell’intelletto, con la gentilezza della natura, col decoro de’ costumi, e con la sua acutissima speculativa nella e Theologia, e Legge, com’anco versatissimo nella s. Matematica, e Astrologia, qual per suo Diporto, dopo gli altri affari, di quella gode; perciò non isdegnerà il mio sincero, e fedele affetto, qual hora, e sempre ho tenuto in servirla, e far palese al Mondo i benefici ricevuti, che purtroppo, e di gran lunga sono, non solo nella mia persona havuti: ma in tanti, e tanti che il Mondo fede ne fa, come à vero Protettore, e vero Mecenate de’ nostri tempi; e se fin qui non hò mostrato al Mondo le sembianze delle vostre gratie, questa è l’incomparabil sua gloria, donde nasce la maraviglia, qual co’ l’esperienza dà nome à V.E. d’Huomo rarissimo, e v’assomiglia al gran Motore, la cui potenza infinita cospartesi per ogni parte: così l’E.V. dimorando con l’inusibil suono della Fama per ogni cuore, in ogni uno si rappresenta il simulacro del suo valore, sapendo dispensare a qualunque chiede la mercé sua: la onde qual più vero segno esser può d’esser vero Signore, se dove mai impresse furo le orme di V.E. ve rapite i voteri altrui? E qual più virtuoso Signore si può trovare, che solo, con la sola sua nomanza soggioga i petti? E se Alessandro il Magno arrivò a dominj grandi, furono tutti per forza, e potenza di gente, e d’armi: ma i modi co’ quali l’E.V. lega, e collega gli animi con indissolubili nodi, sono i lacci della generosissima benevolenza, e cortesia; la cui bella unione, come quella, che à Voi signoreggia, non è da maravigliarsi se à signoreggiar vi conduce gli affetti altrui: ma perché se nond’altro, che dall’opere si può scorger i cuori: E perciò io humilmente gli presento, e dedico questa picciola (non già mia fatica dell’Almanacco) ma ben mia dir potrei, atteso, l’ho corretta da infiniti errori, & accomodata a questi molte curiosità; che quale ella si sia gliela consagro. Resta solo, che l’E.V. l’accetti, e me connumeri nel cattalogo de suoi fedelissimi servi; mentre ch’io stò pregando il Signore Iddio conceda à V.E. il colmo d’ogni felicità, e quel tanto, che il suo generoso cuore desia. Napoli 6 Gennaio, 1636 – Di V.E. Humiliss. Servitore Ottavio Beltrano»11.
Conferma di quanto appena riportato ce la offre, altresì, il contenuto inventariale redatto dopo la morte di Teodoro presente nel volume curato da Alessandra Anselmi che al riguardo così riproduce: «…già segnalato da Labrot, dove sono inclusi alcuni arredi, ma l’aspetto più interessante è la menzione di opere pittoriche tese evidentemente a rafforzare il concetto di legittimazione del potere, si tratta, infatti, dei dodici Cesari e dell’immagine di Carlo V. Sempre nel 1651 si trovava in questo salone una tela con Lot e altri piccoli quadri insieme ad alcuni mobili come due cimbali e un “gioco del Trucco. […] La concentrazione di un gran numero di opere, ben trentadue fra grandi e piccole, caratterizzava il salone anche al tempo di Teodoro, concepito probabilmente come una sorta di quadreria rivolto verso il giardino. […] Come ricordato il castello (Calopezzati) divenne palazzo ducale nel 1625 ad opera di Teodoro Mandatoriccio, al quale si deve curato arredo testimoniato dall’inventario del 1651, al fine di esaltare l’ascesa nobiliare della famiglia elevata al rango ducale; da questo punto di vista si può pensare che i dipinti raffiguranti i dodici Cesari e il ritratto di Carlo V volessero affermare l’appartenenza a pieno titolo alla più alta nobiltà…»12.
All’età di cinquantasei anni e dopo ventisei dedicati alla guida del suo esteso patrimonio feudale, il 25 aprile 1651, il 1° Duca di Crosia, Teodoro Mandatoriccio veniva raggiunto dalla morte nel suo Castello di Calopezzati. L’eredità dell’immenso patrimonio passava quindi al primogenito Francesco che divenne 2° Duca di Crosia.
BIBLIOGRAFIA
9 P. Kast, F. Lippmann, H. Hucke, Studien zur Italienisch-Deutschen Musikgeschicte, (Gli studi in storia della musica italiana-tedesca), vol. VII, Böhlau, Köln Wien, 1970, p. 162.
10 P. Kast, F. Lippmann, H. Hucke, Studien zur…, p. 163, cit. p. 89.
11 R. Benincasa, Almanacco Perpetuo, Ottavio Beltrano, Napoli, 1636.
12 A. Anselmi (a cura), AA. VV., Collezionismo e politica culturale nella Calabria vicereale borbonica e postunitaria, Gangemi Editore, Roma, 2012, pp. 88, 90.