Olio tagliato, mercato truccato: così si uccide l’eccellenza calabrese
Sequestrate 12 tonnellate di presunto extravergine senza tracciabilità a Corigliano-Rossano. Coldiretti denuncia le frodi, ma il vero nodo è un sistema che costringe la qualità a competere con prezzi impossibili
CORIGLIANO-ROSSANO – Dodici tonnellate di presunto olio extravergine di oliva sequestrate perché prive di documentazione sulla tracciabilità e sull’origine dichiarata italiana. Un’operazione condotta dai Carabinieri per la Tutela Agroalimentare e dall’ICQRF che, al di là del dato giudiziario, apre una domanda più grande e più scomoda: perché in un territorio che produce eccellenze olivicole riconosciute si arriva ancora a “tagliare” l’olio per renderlo competitivo sul mercato?
A sollevare il tema è Coldiretti Calabria, che ha parlato senza giri di parole di frodi «odiose», capaci di danneggiare i produttori onesti e di alterare profondamente il mercato. Ma la cronaca, da sola, non basta. Serve guardare a monte, là dove il problema nasce.
Eccellenze che non dovrebbero competere sul prezzo
La Sibaritide e la provincia di Cosenza custodiscono un patrimonio olivicolo di altissimo livello. Dalla Dolce di Rossano, cultivar storica legata al paesaggio jonico e alla produzione di oli delicati e armonici, alla Carolea, spina dorsale dell’olivicoltura calabrese, passando per la Tondina, la Grossa di Cassano, la Roggianella e altre varietà locali che garantiscono profili sensoriali distintivi e qualità riconosciuta.
Oli che, per natura e per storia, non dovrebbero stare nella guerra dei prezzi da scaffale, ma collocarsi in una fascia medio-alta, premiando qualità, tracciabilità e identità territoriale. E invece il mercato spesso chiede altro.
Il corto circuito del mercato
Il nodo è tutto qui: sugli scaffali italiani ed europei arrivano oli extravergini a prezzi stracciati, spesso inferiori ai costi reali di produzione di un olio calabrese fatto bene; una parte consistente di prodotto proveniente da Paesi extra UE entra nel circuito europeo e, attraverso passaggi opachi, viene “ripulita” e rietichettata, esercitando una pressione al ribasso su tutta la filiera; chi produce nel rispetto delle regole si trova stretto tra costi elevatissimi e prezzi imposti dal mercato.
In questo contesto, il “taglio” dell’olio non è solo una frode penale: è il sintomo di un sistema drogato, dove qualcuno prova a restare competitivo imbrogliando, mentre molti altri sono costretti a vendere sottocosto o a uscire dal mercato.
Il costo del lavoro: il grande tabù
C’è poi un dato che raramente entra nel dibattito pubblico. La raccolta delle olive in Calabria è ancora in larga parte manuale, faticosa, stagionale, non delocalizzabile. Il costo della manodopera è cresciuto in modo significativo negli ultimi anni, ma al lavoratore resta pochissimo: oltre la metà del costo complessivo se ne va in tasse, contributi e balzelli vari.
Il risultato è un paradosso crudele: il produttore paga molto; il lavoratore incassa poco. È così che il prodotto finale diventa non competitivo rispetto agli oli industriali di altri Paesi europei ed extraeuropei, dove il costo del lavoro e il carico fiscale sono più bassi o dove la raccolta è iper-meccanizzata.
Controlli: quando funzionano, fanno paura
L’operazione di Corigliano-Rossano dimostra una cosa semplice: quando i controlli sono serrati e coordinati, le frodi emergono. Coldiretti rivendica giustamente la sinergia tra Carabinieri e ICQRF, all’interno della cabina di regia del MASAF. Ed è proprio questa efficacia che spaventa chi vive di opacità.
Perché la trasparenza – come ricorda l’organizzazione agricola – non è un optional. È l’unico argine contro un mercato che, lasciato a sé stesso, premia chi bara e punisce chi produce qualità.
Ora, però, c'è da chiedersi se davvero la Calabria, con le sue cultivar identitarie e i suoi oli di eccellenza, ha bisogno di tagliare l’olio con prodotto scadente per stare sul mercato? Oppure ha bisogno di regole più rigide, controlli continui, politiche fiscali e del lavoro più eque, capaci di rendere sostenibile ciò che oggi è giusto ma economicamente fragile?
La risposta è tutta qui. E il sequestro di queste dodici tonnellate non è solo una notizia di cronaca: è lo specchio di una sfida che riguarda legalità, lavoro e futuro di un’intera filiera.