I nuovi schiavi della Sibaritide: una fitta rete di caporalato da Crotone a Policoro con epicentro a Co-Ro e Crosia Mirto
Retribuzioni da fame che spesso venivano “smezzate” con il caporale di turno, nessuna assistenza medica, 12 ore di lavoro interrotte nei campi a raccogliere pomodori. Ecco cosa hanno scoperto i carabinieri e la Procura di Castrovillari. 15 arresti
CORIGLIANO-ROSSANO – I nuovi schiavi della Sibaritide, sono perlopiù persone africane e dell’est Europa (gambiani, nigeriani e rumeni) i cui diritti sono stati totalmente calpestati da un sistema di “arruolamento al lavoro” e occupazionale che lede ogni diritto ed è una vergogna per un paese civile. Donne e uomini pagati da 15 a 30 euro al giorno a fronte di 12 ore di lavoro ininterrotto nei campi. Retribuzioni “smezzate” con i caporali. Nessun conforto o aiuto in caso di incidenti sul lavoro: un caso emblematico a riguardo racconta di un lavoratore che si era stirato una gamba dopo aver caricato oltre 630 cassette di pomodoro ed è stato lasciato lì. Proprio come uno schiavo.
È quello che ha scoperto una vasta indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Castrovillari, guidata dal procuratore Alessandro D'Alessio, che stamani, in provincia di Cosenza, Matera e Crotone ha fatto scattare una vasta operazione coordinata dai Carabinieri del Reparto Territoriale di Corigliano-Rossano, diretto dal Tenente Colonnello Raffaele Giovinazzo, unitamente a personale del Comando Carabinieri per la Tutela Lavoro di Cosenza, Crotone, Catanzaro e Matera e dei Comandi Provinciali di Crotone e Matera. I militari hanno dato esecuzione ad un'ordinanza dispositiva di 15 misure cautelari (13 dirette a persone italaine, 1 verso un cittadino bulgaro e 1 verso un cittadino rumeno) a, emessa dal GIP presso il Tribunale di Castrovillari, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di altrettanti soggetti, dei quali 6 sottoposti alla custodia in carcere e 9 agli arresti domiciliari, ritenuti gravemente indiziati, a vario titolo, di reiterate condotte di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro", “minacce" ed “estorsione".
Con il medesimo provvedimento è stato, altresì, disposto il sequestro preventivo dei beni e delle quote aziendali di 10 imprese operanti nel settore agricolo (4 persone giuridiche e 6 imprese individuali), di cui 4 ubicate in provincia di Cosenza, 5 in provincia di Crotone ed 1 in provincia di Matera nonché il sequestro di 5 veicoli ritenuti in sede di accusa, utilizzati da parte dei caporali per il trasporto dei lavoratori in nero, per un valore complessivo stimato di circa 15 milioni di euro.
L'inchiesta, coordinata dalla Procura della Repubblica di Castrovillari, è scaturita da una complessa attività d'indagine avviata dalla stazione carabinieri di Mirto Crosia, condotta in stretta sinergia con i militari del Comando Carabinieri Tutela del Lavoro di Cosenza, ed ha permesso di disvelare il fenomeno dell'impiego di lavoratori in condizioni illecite da parte di diverse aziende dislocate nei territori di Policoro, Corigliano-Rossano, Celico, Spezzano della Sila, Strongoli, Cirò marina e Crotone, mediante l'attività di reclutamento da parte dei caporali.
L'attività investigativa ha consentito di ricostruire, a livello di gravità indiziaria ed in attesa dei successivi sviluppi, attesa l'attuale fase di svolgimento delle indagini preliminari, la condotta posta in essere dagli odierni indagati in un periodo che va dalla seconda metà dell'anno 2018 fino al 2021, nonché di raccogliere, sul piano probatorio, le denunce dei lavoratori, vittime innocenti di un sistema ben organizzato e strutturato.
Le minacce di morte per costringerli a lavorare
Due anni e mezzo di lavoro che hanno messo in luce un dramma infinito. I carabinieri, infatti, attraverso il loro lavoro hanno accertare il reiterato ricorso a minacce, anche di morte, e ad atti di violenza da parte degli indagati per costringere le vittime identificate ad accettare la corresponsione di retribuzioni difformi alla contrattazione nazionale e territoriale (dai 15 ai 30 euro al giorno a fronte di oltre 12 ore di lavoro nei campi), prospettando loro che in caso diverso sarebbero stati licenziati.
Il caso del lavoratore ferito e lasciato al suo destino
I militari, inoltre, hanno provato le responsabilità penali degli arrestati in ordine alle ripetute violazioni della normativa a tutela dei lavoratori in materia di igiene e sicurezza sui posti di lavoro (in quanto non sono stati mai sottoposti a visita medica neanche in caso di infortunio), orario di lavoro e riposo (che duravano tra í 10 e i 30 minuti). Addirittura, in un caso è stata negata l’assistenza ad un lavoratore che si era stirato una gamba dopo aver caricato oltre 630 cassette di pomodoro.
Quei salari da fame “smezzati” con i caporali
I carabinieri, ancora, hanno documentato come i caporali esigevano la restituzione di parte dello stipendio dai lavoratori e soprattutto come istruivano gli stessi lavoratori nel caso di un eventuale controllo di polizia. Gli arrestati, dopo gli accertamenti di rito, sono stati tradotti presso la Casa Circondariale di Castrovillari o posti, al regime degli arresti domiciliari, nelle rispettive abitazioni, a diposizione dell’ Autorità Giudiziaria.