di LUCA LATELLA e SAMANTHA TARANTINO Un po’ come sta accadendo in Medioriente con l’Isis che demolisce e seppellisce la propria origine, anche qui da noi non ci facciamo mancare nulla: cosa facciamo per prenderci cura della nostra storia? Quando è l’ignoranza delle proprie origini a comandare la mano dell’uomo, nulla può fermare le devastanti conseguenze sul territorio. Rossano – ma più in generale tutta la fascia che si estende fra Sibari e Cariati – non è rimasta indenne all’indifferenza civile che ha lasciato che si costruisse, nel corso dei secoli, cancellando la nostra storia in modo permanente. Una falsa idea di progresso oggi giace sotto le macerie di altrettante false promesse occupazionali, così effimere da non riuscire neanche a coprire un’intera generazione. Come è avvenuto per Crotone. Tra i soldi spesi per cancellare per sempre la nostra storia, ci sono quelli della casa di reclusione di Rossano, uno dei casi nazionali più noti, di cementificazione su un’intera area archeologica.
Edificato su 76 mila metri quadrati, nella zona di Ciminata, il carcere di Rossano è stato inaugurato nel 2000, costato alle casse dello Stato (Ministero di Grazia e Giustizia) circa 40 miliardi di vecchie lire. Udite, udite dopo aver ottenuto – a quanto pare – il nullaosta della Sovrintendenza per i beni archeologici. Al danno, dunque, la beffa. Anche perché è bene ricordare che il carcere poteva essere costruito altrove e che fu voluto, così come emerse tra le motivazioni politiche del tempo, per consentire il mantenimento del Tribunale di Rossano, dopo la chiusura delle carceri del centro storico, reputate inagibili. Durante i lavori di edificazione del carcere, nella prima metà degli anni ’90, il ricco sottosuolo offrì alle prime picconate degli operai i resti (molti dei quali distrutti) di ciò che poi si rivelò la fase costruttiva più importante dell’antica Roscianum. Esteso ben oltre i 76 mila metri quadri dell’area della casa circondariale, si capì immediatamente che ci si trovava di fronte ad un nucleo ben ordinato e costituito, in cui erano intervenute due fasi di costruzione. La prima, la più antica risalente al periodo dei Brettii, quindi piena età ellenistica, che rivelò i resti di una fattoria. Su questo primo strato s’insediò il
praedium (il fondo) di Roscianum, risalente ai secoli V e IV a.C. età romana. Data l’importanza del sito, per far proseguire gli scavi archeologici, s’interruppero i lavori di costruzione. Per un periodo Rossano fu meta di studiosi e ricercatori. Una primavera dell’archeologia – che riuscì a salvaguardare almeno il tesoretto monetale custodito oggi a Sibari – e della storia che portò a due ipotesi. In un primo tempo si pensò che il fondo fossero i resti della villa o fattoria di Roscius, ricco proprietario terriero. Ma da subito si capì che un’area così estesa avesse un’altra destinazione d’uso, ben più strategica. Difatti, a poco a poco che gli scavi continuarono, si confermò che quei resti stavano rivelando la prima stazione di posta di Roscianum, sito di stoccaggio posto lungo la direttrice Reggio-Taranto a soli 12 miglia da Thurii e non lontano dall’approdo di Sant’Angelo. L’importanza cruciale del sito di Roscianum in età romana è confermata anche dalla presenza della
statio (stazione) nell’Itinerario Antonino, il registro delle stazioni postali e delle distanze tra le varie città poste lungo le strade dell’immenso Impero romano. Uno dei più antichi stradarii sotto forma di libro, fondamentale per la rete viaria romana intervallata da torri, acquedotti, ponti e città. Cosa rimane dei resti della
statio Roscianum? Nulla. Solo una parte di essi è ancora visibile dall’interno del carcere, mentre una buona parte è ancora tutta da scoprire al di fuori dalle mura della casa di reclusione. Poco più a nord di Ciminata, buona parte di contrada
Frasso fu edificata su lottizzazioni degli anni ’70 nelle quali erano state individuate un gran numero di tombe brettie. Così come una villa romana, questa volta vincolata, era stata ritrovata in contrada
Foresta. E per continuare con il triste elenco del nostro passato cancellato, in zona
Bucita e
Nubrica, sono state recuperate tracce di un’intera necropoli. Reperti riguardanti il passaggio magnogreco sono stati individuati in contrada
Gutterie, entrambe completamente saccheggiate. A quanto pare. Anche l’area di
Sant’Antonio, nel centro storico di Rossano, comprendeva un grande insediamento comprovato. Resti sono custoditi nel Museo Diocesano ed in quello di Reggio Calabria. Insomma, di esempi del genere, questa terra ne è purtroppo ricchissima:
Cariati, Terravecchia, Calopezzati ne rappresentano una classica dimostrazione. Così come a
Mirto dove proprio di recente, lungo la strada che conduce a
Cropalati sul retro di un’abitazione, sono stati ritrovati resti di costruzione (mattoni a forma romboidale) che probabilmente costituivano mura in
opus reticulatum (una delle tecniche costruttive romane). Mattoni, questa volta moderni, e calcestruzzo hanno invaso letteralmente una enormità di beni inestimabili, segno del passaggio dei popoli su queste terre nelle varie epoche. Ed è chiaro come il caso accompagni la storia delle ricerche da Rossano a Cariati: ovunque si scavi per costruire, non mancano ritrovamenti e reperti. Accanto a documenti che attestano l’esistenza di aree sensibili di interesse archeologico, manca però il successivo step: studi, rilievi, misurazioni e, più in generale, censimenti di luoghi di interesse archeologico ancora da scoprire. Dopo le inchieste su porti, trasporto pubblico locale, acque pubbliche,
L’Eco dello Jonio mette in luce un’ulteriore spreco di risorse.
Capo Colonna come Ciminata. La Calabria è nota in tutto il mondo per le grandiose testimonianze di quella che fu la florida Magna Grecia e dei due simboli per eccellenza, Sibari e Crotone. Il patrimonio archeologico ereditato non può andare perso per scandalose cementificazioni che farebbero rivoltare nella tomba Pitagora, Archimede o Parmenide. Se l’oracolo di Delfi scelse Kroton per custodire la nuova Grecia, evidentemente la riteneva la sede opportuna per replicare la grandezza ellenica. Insomma, il progresso di un territorio deve necessariamente passare dalla valorizzazione di ciò che si ha. Ripartiamo dalla sensibilità che non c’è stata e superiamo l’indifferenza. Questo si chiama futuro ed investimento, risorsa. E non c’è parcheggio o carcere che tenga. Eviteremmo così, di esprimere l’ennesima contraddizione calabra: non si apprezza quello che si ha. Anzi.