L'Iraceb nel sonno profondo, ecco come la Regione Calabria ha demolito la cultura bizantina
Dopo il definanziamento della LR 6/1989 sull’Istituto Regionale per le Antichità Calabresi e Bizantine, la Regione è scappata a gambe levate da Rossano, lasciando debiti certificati e abbandonando un percorso virtuoso
CORIGLIANO-ROSSANO – La Calabria continua a rimanere la terra delle grandissime contraddizioni. Nel processo, condivisibilissimo di spogliare questa terra dai suoi stereotipi e pregiudizi, occorre, però, rimettere in ordine le cose, onde evitare di perdere per strada pezzi importanti di una crescita consapevole che non può essere dimenticata o liquidata, nel vero senso della parola. È il caso spietato e paradossale (l’ennesimo che coinvolge la Calabria e la Calabria del nord-est in particolare) dell’Iraceb, l’Istituto Regionale per le Antichità Calabresi e Bizantine.
È notizia di oggi che a Reggio Calabria, si è costituita Bria (Byzantine Route International Association) una nuova associazione internazionale che sta costruendo una rete di condivisione attorno ad un progetto di valorizzazione del patrimonio culturale bizantino, per la costruzione di uno sviluppo economico, identitario e sostenibile del territorio.
Nel mentre, però, nella città dello stretto si dà doverosa forza ad un percorso di analisi storica e contemporanea al mondo bizantino, basato su una politica di pianificazione fattiva e un approccio maggiormente integrato sia alla cultura che alla progettazione; a Corigliano-Rossano, che è per antonomasia la culla bizantina del meridione, sembra si stia facendo un’opera di cancellazione totale della storia e particolarmente di questo periodo aureo. Che – come ricordava lo stesso prof Filippo Burgarella – non è il solo e l’unico ad aver contraddistinto questo territorio, atteso che qui, a queste latitudini, citando invece il prof Franco Filareto, «hanno convissuto ben cinque civiltà».
Dicevamo dell’Iraceb. Erano i primi anni ’90 quando due consiglieri regionali del territorio, il democristiano Peppino Accroglianò e il comunista Luigi Tarsitano, riuscirono a far approvare ben due leggi regionali, dando vita all’Istituto Regionale per le Antichità Calabresi e Bizantine che aveva sede proprio a Rossano. Del consiglio direttivo dovevano far parte quattro docenti universitari di specchiata professionalità – ricordiamo tra questi i compianti Filippo Bulgarella e Giorgio Leone, Giovanna De Sensi Sestito e Renato Peroni – ed i rappresentanti del comune di Rossano e della Regione.
La missione di questo Istituto finanziato con un contribuito regionale annuo, poi cancellato, era (e dovrebbe ancora essere, dal momento che l’Iraceb formalmente esiste ancora) quella di promuovere su basi scientifiche la conoscenza storica della civiltà calabrese dall’età pre-coloniale al Medioevo. Insomma, un processo di consapevolezza proprio attorno a quelle cinque civiltà che citava Filareto (Mesogaia, Magnogreca, Romana, Bizantina e Normanna). Tutto sparito. Anni di studi insieme a centinaia di volumi e manoscritti che racchiudono questo patrimonio immenso di conoscenza e consapevolezza è chiuso a più mandate in un’ala di Palazzo Martucci, nel cuore del centro storico di lato rossanese.
Perché? La risposta va ricercata semplicemente nell’ignavia e nell’insipienza delle amministrazioni politiche che si sono succedute negli anni. Col tempo, infatti, soprattutto in Calabria e principalmente nel nostro grande territorio del nord-est si è consolidata la mentalità per la quale la cultura non porta ricchezza. Una visione gretta delle cose che, però, con il tempo – dicevamo - non solo ha portato la Regione Calabria a disinteressarsi completamente dell’Iraceb, non finanziandola più (stiamo parlando di qualche centinaio di euro l’anno!) ma addirittura e di fatto a disconoscerla.
Non si può definire altrimenti, infatti, l’atteggiamento che la Regione Calabria ha assunto nei confronti dell’Iraceb. L’ente, infatti, con il passare degli anni – a partire dal definanziamento della Legge istitutiva – ha accumulato una serie di debiti con il proprietario dell’immobile in cui è tutt’ora la sede fisica e legale dell’istituto. Debito di fatto che è stato lo stesso Tribunale regionale, con apposita sentenza, a certificare e riconoscere al locatore dell’immobile, gli eredi Martucci appunto. Insomma, l’incapacità della Regione Calabria a pagare un affitto sta mandando in malora uno dei patrimoni materiali e immateriali, fatto – ricordiamo – di studi e conoscenze, più importanti non di Corigliano-Rossano ma dell’intero territorio meridionale.
Un disinteresse assoluto che fa male. Bene farebbe, allora, il presidente della Terza Commissione regionale (che non è solo Sanità ma anche Cultura), Pasqualina Straface, a prendere in mano questa vicenda grottesca e paradossale, portandola nuovamente all’attenzione del Governo regionale, proponendo il rifinanziamento della legge regionale 6/1989, onorando i debiti accumulati fino ad oggi e restituendo a questo Istituto il sacrosanto ruolo che merita, nella memoria di Filippo Burgarella e Giorgio Leone.