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Graffiti e frasi offensive: sfregiato il murales di Borsellino a Rossano

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CORIGLIANO-ROSSANO - Circola ormai da giorni, nel silenzio di molti, un'immagine, postata su un frequentato gruppo social, che ritrae lo sfregio compiuto ai danni del murales dedicato al giudice Paolo Borsellino, Martire della mafia. Il graffito era stato commissionato dall'Amministrazione comunale di Corigliano-Rossano insieme all'associazione "Per non dimenticare Manuel" e venne realizzato nel luglio scorso dall'artista rossanese Fausto Morini (leggi qui la notizia). Poco meno di 7 mesi e quel murale è diventato oggetto della frustrazione vandalica dei soliti anonimi, che trovano sempre patria nella nostra società e che con codardia si nascondono sempre nell'anonimato. Figure inconsulte, frasi irripetibili, anche nei confronti delle forze dell'ordine, e una sequela lunghissima di parolacce... sullo sfondo, l'immagine sacra di Paolo Borsellino. 

La domanda è: dove abbiamo sbagliato? Un enigma che zampilla lampante, frastagliato da sentimenti di sconfitta, abbandono e rassegnazione. Il murales dedicato a Paolo Borsellino non è solo un graffito, un disegno, un’opera in sé, ma è la rappresentazione di una storia condivisa, in questo caso tragica e piena di ombre, ma anche di irriducibile senso di amore per lo Stato e per la libertà.

“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. Paolo Borsellino, come anche Giovanni Falcone, sapeva che la strada maestra era quella di partire da loro, dai giovani, gli stessi che quell’immagine l’hanno imbrattata.

Nella vita di tutti noi, raramente, qualcosa accade per caso. Domani 21 marzo, per chi non sapesse, è la Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Nomi altisonanti, lunghi, imperiosi e, a questo punto, vuoti. Che senso ha imbiancare i sepolcri, organizzare incontri, passare mattinate scolastiche togliendo ore al sapere se poi la mattina ci si trova un’immagine di sacra laicità imbrattata?

Questi gesti ci ricordano che il ricordo è un contenitore vuoto se non lo si accompagna alla cultura, all’istruzione, alla scuola. I giovani di oggi - di cui si continua a parlare di loro e mai con loro - sono le prime vittime di questa ignoranza sistematica imposta da chi, in quell’ignoranza, ci sguazza.

Purtroppo, entrando in tantissime classi del Belpaese (soprattutto nelle zone periferiche), solo una sparuta minoranza conosce il viso di Falcone o Borsellino, nessuno conosce vittime innocenti della mafia come Peppino Impastato, Beppe Fava o Giancarlo Siani. Guardano Mare Fuori per il fascino galeotto e Gomorra per Genny Savastano. Hanno sfregiato un volto perché non sapevano nulla su quello sguardo. Non conoscevano un giudice dalle espressioni dure ma di un coraggio dolce.

Il problema sta forse qui: in tutte le scuole d’Italia vi sono delle icone impolverate, dei simulacri e si perde tempo in agiografie ipocrite perché lo Stato - duole dirlo - ha gettato la spugna e la riprende solamente per lavarsi coscienza dall’imposizione dell’ignoranza attuati con tagli e ridimensionamenti delle forze di polizia e di quella scuola che è l’ultimo guado prima delle tenebre.

Un ragazzino che strappa dei punti di sutura da una ferita di una comunità ignora il senso stesso della felicità. “Le persone sono cattive perché soffrono”, i nostri ragazzi per la mancanza di ideali, valori, sogni e ambizioni si tagliano e bruciano la carne e, per ricordarci che esistono, compiono gesti come quelli di ieri.

La domanda con cui siamo partiti potrebbe avere una risposta: abbiamo sbagliato a dare solo teorie e non atti pratici, abbiamo sbagliato a togliere degli esempi e, se ci sono ancora, sbagliamo a non saperli raccontare. Educare - in queste condizioni - è opera vana. Qualche volta viene la tentazione di liberarsi dai sensi di colpa e di lasciare tutto nell’ignavia. Ma alla fine, forse, è molto meglio ricominciare “tutto da capo all’infinito anche a costo di passare per pazzi”. Pazzi come quei giudici sfregiati e palermitani che volevano sconfiggere la mafia.

Josef Platarota
Autore: Josef Platarota

Nasce nel 1988 a Cariati. Metà calovetese e metà rossanese, consegue la laurea in Storia e Scienze Storiche all’Università della Calabria. Entra nel mondo del giornalismo nel 2010 seguendo la Rossanese e ha un sogno: scrivere della sua promozione in Serie C. Malgrado tutto, ci crede ancora. Ha scritto per Calabria Ora, Il Garantista, Cronache delle Calabrie, Inter-News, Il Gazzettino della Calabria e Il Meridione si è occupato anche di Cronaca e Attualità. Insegna Lettere negli istituti della provincia di Cosenza. Le sue passioni sono la lettura, la storia, la filosofia, il calcio, gli animali e l’Inter. Ha tre idoli: Sankara, Riquelme e Michael Jordan.