9 ore fa:Ecco a chi finiscono i soldi del 5x1000, tutti i numeri della Calabria del nord-est
11 ore fa:L'associazione Alma Odv porta sorrisi e speranza agli anziani della residenza di Cariati
9 ore fa:Caloveto: l’Amministrazione investe sull’inclusione sociale dello sport
1 ora fa:Possibile candidatura di Stasi alle regionali: «Ormai il re è nudo»
8 ore fa:Pubblicata la gara per la ristrutturazione e l'efficientamento energetico del Municipio di Cassano 
6 ore fa:Cariati: il 4 novembre giornata dell’unità nazionale e delle forze armate
7 ore fa:A Vaccarizzo nasce il club motor arberia vintage
10 ore fa:Anfass Calabria tra le associazioni promotrici degli Stati Generali della Disabilità
5 ore fa:BH, Caputo (Azione): «L'irregolarità del procedimento è una scusa di Stasi»
12 ore fa:VOLLEY - Serie C Femminile: la Volley Cirò batte la Pallavolo Rossano Asd

Donne e lavoro: una relazione complicata. Nella Sibaritide lavora solo una su quattro

2 minuti di lettura

CORIGLIANO-ROSSANO - La mimosa potrebbe essere gradita ma non indispensabile. Il lavoro, invece, lo è.  Eppure sul nostro territorio l’occupazione non è donna. Per non parlare del compenso. Nella Sibaritide-Pollino lavora meno di 1 donna su 3. Anzi, a dirla tutta e fino in fondo, a lavorare è soltanto 1 donna su 4. Il tasso di occupazione femminile, nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni, sfiora a mala pena il 31,9% rispetto alla media nazionale del 51,4.

Venti punti di scarto non sono di certo un gap trascurabile, così come non è di poco conto la differenza salariale con i colleghi uomini a parità di mansioni. Alla faccia dell’uguaglianza di genere e pari accesso alle opportunità. Stendiamo quindi un velo pietoso su tutte quelle attività, dalle pulizie all’assistenza agli anziani, svolte tacitamente in nero che alimentano quel sottobosco di lavoratori invisibili senza alcuna garanzia.

C’è poi tutta una questione sociale e culturale che vede molte donne schiacciate tra la propria sacrosanta voglia di realizzarsi e il loro ruolo di madre, come se non si potesse – a differenza dei papà – essere genitori e professionisti al tempo spesso. Ci si confronta in famiglia: i soldi servono. Ma magari c’è un bebè ancora piccolo che, se anche la mamma decidesse di lavorare, dovrebbe essere messo al nido oppure affidato ad una tata. E allora, per il calcolo delle proporzioni, considerando che comunque buona parte dello stipendio se ne andrebbe per pagare la retta o una babysitter, spesso la donna decide di rinunciare rimandando il suo appuntamento con il lavoro a data da destinarsi. Verosimilmente a mai più.

Secondo la Banca d’Italia «oltre che dalle difficili condizioni del mercato del lavoro regionale, la minore partecipazione femminile può risentire anche dei problemi di conciliazione tra la vita lavorativa e quella privata, dal momento che gli oneri di cura della famiglia non sono equamente ripartiti tra i generi. Secondo i dati Istat – continua Banca Italia -  nella media degli anni 2015-20 in Calabria circa il 28 per cento delle donne inattive dichiarava di non lavorare e di non cercare lavoro per esigenze familiari, a fronte del 3,7 per cento tra gli uomini».

Non a caso l’opportunità del Pnrr è un treno da cogliere al volo – se non l’ultimo – per contrastare la povertà educativa e investire sui servizi dedicati alla prima infanzia. In particolare, alle regioni del Mezzogiorno andrà il 54,98% delle risorse per gli asili nido e il 40,85% di quelle per le scuole dell’infanzia.

E neppure un livello alto di istruzione spesso ci salva. Se nella media europea il tasso delle occupate con un diploma di laurea è dell'82,5%, in Italia si ferma al 76,4% con i dovuti distinguo dove noi ci troviamo esattamente agli antipodi: in Lombardia raggiunge l’82% mentre precipita al 59,4% nel nostro territorio. Scende di oltre 22 punti percentuali rispetto alla media.

Quote rosa in Parlamento e nei cda delle grandi aziende che stabiliscono un numero minimo obbligatorio di presenze femminili come se fossimo da tutelare come dei panda. Un obbligo senza il quale, forse, le donne farebbero ancora più fatica a sedersi ai posti di comando. A meno che, chiaramente, l’impresa non sia la loro. Perché nonostante gli sforzi, nonostante i monologhi più o meno convincenti che le protagoniste del mondo dello spettacolo recitano da qualche tempo sul palco dell’Ariston quasi a voler giustificare la loro presenza stessa al Festival, di strada da fare per raggiungere una reale uguaglianza di genere ce n’è davvero tanta. E il primo cambiamento, come sempre, deve partire dalla testa.  

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare