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Scuola senza voti: a Corigliano-Rossano c'è chi è pronto a sperimentare

3 minuti di lettura

CORIGLIANO-ROSSANO - Una scuola senza voti? «Perché No!». Possibilista e aperto a nuove sperimentazioni il dirigente scolastico del polo liceale di Rossano, Antonio Pistoia, il quale non chiude le porte a priori verso un collaudo che è già in atto da 7 anni presso il Liceo Morgagni di Roma e che a settembre è partito anche in una scuola di Scandicci, in provincia di Firenze.

In sostanza gli studenti vengono sottoposti a test e verifiche al termine delle quali non viene dato un voto. Si discute in classe con il professore su cosa approfondire di più, si evidenzia quello che si è sbagliato e si va avanti. Abolito quel numero, che poteva essere un 4 come un 9, chiamato a sintetizzare e dare un valore al giudizio complessivo del compito svolto dall’alunno. Una scuola senza voti che però, per legge, come previsto dal sistema scolastico, al termine del quadrimestre deve comunque esprimersi con una cifra numerica che qualifichi il rendimento scolastico di ogni singolo studente. La sperimentazione del Morgagni adesso è sotto la lente della facoltà di pedagogia dell’Università La Sapienza, anche la Toscana ha iniziato la sua fase sperimentale. E da noi, cosa ne potrebbero pensare le scuole? Lo abbiamo chiesto al dirigente scolastico del grande plesso che racchiude liceo Classico, Scientifico, Linguistico e Artistico, Antonio Pistoia.

Prof. Antonio Pistoia

Dottore, lei metterebbe mai in pratica questo tipo di metodo nel plesso che dirige?

«Certo, perché no?! Lo studio è finalizzato alla formazione, alla costruzione di quel bagaglio culturale che dovrà servirci per affrontare il mondo, non è certo finalizzato al voto».

Però il voto è una sorta di cartina di torna sole… insomma, attraverso il giudizio espresso in numeri si capisce in quale direzione sta andando l’alunno, è una sorta di gratificazione per chi si applica con risultato, così come può essere uno stimolo a fare meglio qualora il rendimento sia scarso…

«Vede, per certi ragazzi leggere nero su bianco un brutto voto, anziché da stimolo può avere l’effetto contrario. Può spingere lo studente a chiudersi a riccio e a non migliorare».

Però dottore, la scuola da decenni si esprime con voti e non è mai stata la fine del mondo. È così necessario omettere il risultato al termine delle singole verifiche e interrogazioni per poi presentarlo alla fine del quadrimestre?

«Attenzione, non è necessario. E’ una sperimentazione che alcune scuole hanno scelto di fare pensando di adottare una buona strategia al fine del rendimento scolastico. Per molti studenti ricevere un voto è fonte di stress, in questo modo evitiamo ai ragazzi la cosiddetta ansia da prestazione”.ndamento delle verifiche».

E non si rischia poi di restare sorpresi a fine quadrimestre o a fine anno, quando finalmente si visualizza in cifra il voto dato dalla media dei risultati scolastici?

«No, se di volta in volta i docenti discutono con gli studenti dei risultati e dell’andamento delle verifiche».

La scuola però…dovrebbe anche insegnarci a metterci in gioco, ad essere chiamati ad affrontare delle prove il cui risultato si concretizza con un giudizio e con un voto. D’altronde per entrare nel mondo del lavoro spesso ci attendono concorsi e competizioni. Non pensa che così facendo la scuola come Istituzione venga meno al suo compito?

«Non credo. Al momento dell’iscrizione in una scuola gli studenti stringono una sorta di patto formativo. Sanno bene che dovranno impegnarsi a studiare e che, come i docenti tra l’altro, hanno dei diritti ma anche dei doveri».

Cosa ne pensa invece della polemica sulla nomenclatura del Ministero, che sotto il Governo Meloni si chiama dell’Istruzione e del Merito?

«Non vedo tutta la necessità di inserire, nel nome del Ministero, la parola merito dal momento che questo concetto è intrinseco nel termine stesso di istruzione».

Beh… se il concetto di merito è già espresso all’interno del termine più ampio di istruzione, perché tanto clamore nel volerlo accostare al nome del Ministero in un’era dove ci riempiamo la bocca con la parola meritocrazia?

«Forse perché potrebbe essere frainteso e potrebbe passare il messaggio che l’istruzione è a favore solo di chi si applica con profitto. Purtroppo sono periodi in cui si parla tanto di fragilità degli studenti, e i dati che ci sono pervenuti dall’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, ndr) ne sono la prova».

Cosa intende?

«Spesso le competenze dei ragazzi sono risultate più fragili e sotto la media richiesta. Ricordiamoci che il profitto è la risultante di tante cose, dell’impegno, dell’attitudine allo studio ma anche della situazione sociale ed economica».

A tal proposito è inconfutabile il dato che piazza la Calabria come terza regione più povera d’Italia. Il fatto si riflette anche tra i banchi di scuola?

«Certamente».

Quindi, lo ribadiamo, lei sarebbe disposto a sperimentare una “scuola senza voto”?

«Sempre con l’appoggio e l’accordo dei miei docenti, chiederei il loro parere. In un’ottica sperimentale, per vedere se davvero funziona, lo farei. Domani c’è il collegio docenti – sorride Pistoia – di certo però all’ordine del giorno non c’è questa questione».

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare