Spoke Corigliano-Rossano, “chiudono” i reparti perché l’organizzazione è inesistente
La carenza di personale e l’assenza di procedure concorsuali rimane un dato fermo ma sullo spoke della Sibaritide c’è un difetto congenito: una «disorganizzazione violenta» che mette a repentaglio la vita dei malati
CORIGLIANO-ROSSANO – Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato come l’unità operativa di Anestesia e Rianimazione degli ospedali spoke di Corigliano-Rossano abbia chiuso i battenti per mancanza di personale. Chiusura che permane e sussiste anche in queste ore, declassando i due presidi a semplici ospedali di base che, di fatto, non hanno alcuna valenza nella rete dell’emergenza/urgenza.
Tant’è che proprio nella notte scorsa un cittadino del territorio ionico, intubato, è stato trasferito nel presidio “Ferrari” di Castrovillari proprio per mancanza di assistenza rianimatoria al “Giannettasio”.
A tre giorni dalla sospensione dei ricoveri, siamo andati a fondo alla questione, per capire come mai si sia verificata questa contingenza che crea imbarazzo in ambito sanitario e – allo stesso tempo – rischia di generare un disagio irreversibile nel territorio ionico.
Possibile che lo Jonio sia sempre il territorio reietto?
Ci siamo chiesti come sia possibile che un territorio così grande, dove non esiste altra sanità se non quella pubblica e che già soffre per la soppressione di due ospedali (Cariati e Trebisacce), possa essere lasciato senza medici, senza assistenza. E partendo da questa domanda siamo arrivati a una risposta, condita di tantissime premesse.
Partiamo da un dato. La carenza di personale (medici, infermieri e oss) che è evidente, è cronica, è palese, è incontestabile.
Ma questo è un dramma che – chi più chi meno – si vive in ogni ospedale dell’Asp di Cosenza ed in quasi tutte le specialistiche. Basta questo per giustificare la “chiusura” di un reparto così importante e strategico per la sopravvivenza di un ospedale spoke? La risposta è no.
Perché altrimenti anche Paola-Cetraro e Castrovillari dovrebbero subire la stessa sorte.
Cercando di dare una risposta alla domanda drammatica sul perché accada tutto questo, allora, siamo giunti ad un’altra conclusione. Che si declina nelle diverse fasi dell’organizzazione sanitaria degli ospedali di Corigliano-Rossano. E per buona pace di tutti o per sommo dispiacere di tanti, almeno in questa fase, le colpe non sono della politica.
Una «disorganizzazione violenta»
In realtà, per come la definirebbe il deputato Ciccio Sapia, siamo difronte ad una «disorganizzazione violenta»; tutta interna agli ospedali “Compagna” e “Giannettasio” condita da guerre intestine, lotte di campanile e, causa la mancanza di un management ospedaliero degno di questo nome, dall’esuberanza di troppe prime donne.
Esuberanza così esasperata che i problemi comuni a tutti gli ospedali della provincia a queste latitudini vengono amplificati all’ennesima potenza: tra dirigenti medici che non dialogano tra loro e reparti chiusi in compartimenti stagno.
Come sempre sono i numeri a parlare. L’ultimo piano del fabbisogno dell’Asp di Cosenza (delibera 817/2918) dice che la Terapia intensiva dello spoke di Corigliano-Rossano dovrebbe avere in organico 23 medici. Effettivamente, però, ce ne sono soltanto 13, suddivisi tra il presidio di Corigliano (6) e quello di Rossano (7). Ed è qui che nasce il primo vero ed importante inghippo. Perché se fosse stato applicato il piano di riordino per i due presidi insediando in uno (quello di Corigliano) l’area medica e nell’altro (quello di Rossano) l’area chirurgica, probabilmente ad oggi avremmo tutti i medici anestesisti/rianimatori in un solo stabile.
E invece, si è preferito assecondare i campanili. Lasciando tutto in una fase ibrida molto discutibile.
Il fabbisogno del personale ed il famigerato DCA 64
Andiamo oltre. Il piano del fabbisogno del personale dell’Asp di Cosenza del 2018 (23 dirigenti medici per la Terapia intensiva dello spoke di Corigliano-Rossano) era stato disegnato sulla scorta del famigerato DCA 64/2016 (il piano di riorganizzazione di Scura) che prevedeva l’installazione di 10 posti letto di terapia intensiva proprio nell’ospedale “Giannettasio”. Quindi 23 medici per 10 posti letto.
Al momento però i posti di terapia intensiva rimangono solo 4 (come da situazione antecedente al DCA 64/2016). E per questi 4 posti, tutti attivi nel nosocomio bizantino, sono operativi 7 medici. Gli altri 6 medici di terapia intensiva, invece, sono dislocati nel “Compagna”. Questa è la situazione attuale.
Verrebbe da chiedersi, ancora, perché – per evitare di mandare in tilt un reparto essenziale come la Rianimazione – non si sia programmato un turno di personale differente? Perché, ad esempio, non chiedere agli anestesisti di Corigliano (considerato che fanno parte tutti della stessa “famiglia” dello spoke coriglianorossanese) di subentrare (magari anche in straordinario) a tamponare momentaneamente le esigenze dei colleghi non disponibili?
Purtroppo, chi dovrebbe gestire e mettere ordine a questa «disorganizzazione violenta» non lo fa. E il territorio rischia le estreme conseguenze per l’accidia, l’inezia e l’ignavia di pochi. E questa volta la politica non c’entra nulla. Forse è giunto il momento che nell’ospedale spoke di Corigliano-Rossano, più che passerelle, si faccia qualche visita ispettiva.
foto copertina huffingtonpost.it