Una notte in giro per la provincia per una tac: le lacrime di una donna che fanno male
Nel giorno della festa della Donna, la storia di una signora di 73 anni, affetta da Covid, sballottata in un’ambulanza tra gli ospedali dell’Asp di Cosenza per fare un esame di controllo dopo una brutta caduta.
CORIGLIANO-ROSSANO – Sono le 2:55 di lunedì 8 marzo 2021. È da poco iniziato il giorno che per antonomasia è dedicato alla Donna. Al punto di emergenza territoriale di Cassano Jonio arriva una chiamata da parte della centrale operativa del 118. Bisogna intervenire in una casa di riposo: una signora è caduta, ha sbattuto forte la testa e necessita di cure immediate. L’ambulanza del Suem con a bordo un medico, un infermiere e l’autista parte subito per i soccorsi.
Arrivano sul posto, una residenza sanitaria che opera nel territorio ionico, la donna è sul letto, assistita dagli operatori sanitari della struttura. Nei giorni precedenti ha anche contratto il covid. Il personale sanitario la visita e le riscontra un brutto ematoma sulla parte frontale. Si sospetta una frattura ossea al cranio. La signora, 73 anni, nel cuore della notte viene caricata sull’autolettiga e trasferita all’ospedale Hub “Annunziata” di Cosenza per le cure del caso.
Una volta giunti nel capoluogo bruzio arriva l’alt. La donna ha il Covid, pertanto va trattata con rigidi protocolli e isolata negli spazi dedicati ai malati affetti da Sars-Cov-2. Che in quel momento, però, sono occupati da altri pazienti. Non c’è posto, non c’è spazio per fare gli esami clinici alla settantreenne ed eventualmente ricoverarla.
Si passa così al piano due. Tutto questo mentre la povera donna continua a rimanere dolorante distesa nella lettiga dell’ambulanza, confortata dal suo medico del 118. Si dispone, quindi, il trasferimento al “Giannettasio” di Corigliano-Rossano. Un’altra ora di strada tra l’asfalto gelido e deserto dell’A2 e le curve della statale 106.
Sono quasi le 6.30 quando l’automedica varca le sbarre dell’ospedale rossanese. Qui il deserto. Il nosocomio bizantino, pur avendo un percorso dedicato per i pazienti Covid, ha un “buco” nella struttura, un vero e proprio diaframma promiscuo tra l’area coronavirus e gli spazi dedicati alla degenza ordinaria. Che si fa? Si fa il possibile per attraversare quel diaframma e cercare di portare a compimento l’esame diagnostico: una tac al cranio. Che viene eseguita qualche ora più tardi. Alle nove di mattina.
L’attesa dell’esito, invero, avviene in ambulanza. Un’ambulanza del 118 della Pet di Cassano. Rimasta per fare assistenza ad un malato che solo perché affetto da Covid non può rimanere all’interno di una struttura ospedaliera. La donna piange e a consolarla possono esserci un medico, un infermiere e un autista che per una notte sono stati la sua famiglia, i suoi angeli, il suo tutto.
E veder piangere una donna di 73 anni, per sconforto e solitudine è una delle immagini più tristi che si possano raccontare in un mondo civile, in una sanità a pezzi e con parti di “comando” che ancora – nonostante lo sfacelo intorno – continuano a dire che va tutto bene.
È tarda mattinata ormai. Il sole è alto. La donna ha il Covid ma per fortuna non ha danni cerebrali. Ritorna nella sua residenza. Ora per fortuna può riposare. Senza mimose, senza particolari feste, solo con la consapevolezza di aver attraversato una burrasca in un mondo che sembra continui a girare al contrario.