C’è un posto sul Pollino da sempre covid-free: il caso di Alessandria del Carretto
Un minuscolo e prezioso scrigno, ricco di storia e tradizione, nel quale vivono meno di 400 anime

ALESSANDRIA DEL CARRETTO – Quando si parla di piccoli borghi arroccati sulle montagne, solitamente si pensa ai disagi che si possono vivere in posti tanto isolati, ma la pandemia ci mostra questi posti da altre prospettive. L’isolamento qui, ad Alessandria, sta tutelando le persone. Dall’inizio di questo incubo, infatti, non si è mai avuto un contagiato da Covid sul territorio comunale.
Sono meno di 400 le anime che abitano questo paesino ai confini della Basilicata. Una piccola comunità che vive in un tempo lento, diverso, surreale. Circondati da vette innevate, questo minuscolo scrigno di storia e tradizione conserva gelosamente i suoi immensi tesori.
Due musei (quello intitolato a Guido Chidichimo e quello dedicato al lupo), la secolare Chiesa Madre di Sant’Alessandro che dal 1600 è cuore pulsante della comunità e le numerose cappelle dedicate ai Santi (San Rocco, Sant’Elia e alla Madonna delle nevi).
Ma oltre ai monumenti storici, Alessandria è ricca anche di tradizioni. Una di queste è legata al Carnevale. Una festa dove si mescolano riti e leggende sacre e profane. Le maschere hanno tratti peculiari e caratteristici: dai Polëcënëllë Biëllë che incarnano il bello, la primavera e il divino, all’'Ursë l’uomo dalle sembianze animali che veste pelli di capra e ne indossa le vistose corna e incarna la natura selvaggia, irruenta e mostruosa.
Dalle Coremmë, incarnazione della Quaresima, dalle sembianze di una vecchia cenciosa (molto vicina alla rappresentazione comune della Befana) ai Polëcënëllë Bruttë o lajëdë i brutti che si contrappongono ai belli, rappresentando il caos, il disordine ed il frastuono.
Ma non si può parlare di Alessandria senza parlare della Festa della Pitë e del patrono Sant'Alessandro. Secondo la tradizione questa festa avrebbe origini nel 1600 allorché un boscaiolo, dopo aver abbattuto un abete bianco, trovò all'interno del tronco l'immagine del Santo.
Ha così avuto inizio una tradizione popolare e religiosa al contempo che lega gli abitanti di Alessandria del Carretto ai boschi, alla natura e al sacro. Ogni anno, per questa festa, viene “sacrificato” il caratteristico abete bianco.
Questo evento festivo dura circa un mese e prevede diversi rituali carichi di significato. Dalla scelta degli alberi, al dividerne il tronco (di almeno 20 metri) dalla cima. Dal trasporto fatto a mano, lento e faticoso, alla levigatura del legno che viene privato della sua corteccia. Fino a giungere alla giornata del ricongiungimento del tronco con il suo cimale adornato da prodotti tipici, che saranno il ricco bottino di chi riuscirà a salire in cima. Un rito lento, spettacolare e coinvolgente che ha inizio la penultima domenica di aprile e termina il 4 maggio.
Una festa complicata da raccontare, ma affascinante da vivere. Un fascino che esula dal tempo, racchiuso in un piccolo borgo calabrese tutto da scoprire.
(foto di Francesco Cariati)