Scuola: diritto allo studio ma anche al lavoro. Chi pensa agli insegnanti?
Alle famiglie è stata data la possibilità di scegliere ma chi pensa agli insegnanti? «Nessuno ha ascoltato la nostra voce»
CASTROVILLARI - Un ritorno a scuola più che mai discusso e non sempre in termini positivi quello che riguarda gli studenti delle scuole superiori in Calabria. L'ordinanza del Presidente facente funzione della Regione, Nino Spirlì, ha destato per lo più malcontento anche tra gli studenti, che erano felici di voler tornare a riabbracciare i compagni e rivivere una più verosimile normalità.
Ma se da un lato ci sono gli studenti, la cui voce è stata quella da ascoltare e tutelare sin dal primo momento, dall'altra ci sono i docenti a cui, al contrario, quasi nessuno ha chiesto un'opinione.
Stanchi, provati, stressati, uomini e donne nonché madri e padri che non si sentono supportati dalle istituzioni. Dai banchi a rotelle dai più definiti ridicoli ed inutili, tanto da aver guadagnato i maggiori spazi dei magazzini degli istituti scolastici, fino alla didattica integrata "un vero manicomio".
«A prescindere dall'orientamento politico - ci dicono gli insegnanti che abbiamo intervistato all'indomani del rientro in Did - la scuola deve essere un presidio sacrosanto di crescita e cultura, un posto in grado di mettere in mano ai ragazzi le armi per muoversi nella società con conoscenza ed istruzione, quanto di più prezioso per un individuo».
«Un'ordinanza, quella di Spirlì, che si nasconde dietro alla democrazia per giustificare un atteggiamento lascivo una sorta di scarica barile riguardo a responsabilità che dovrebbero essere assunte dalle istituzioni e non solo dalle famiglie. Ad esse, infatti, è stato chiesto di scegliere ma agli insegnanti nessuno ha chiesto niente? Abbiamo messo al centro il bene dei ragazzi e siamo stati noi docenti i primi a volerlo ma non è giusto dimenticarsi di noi. Non è giusto non tenere conto delle esigenze di lavoratori che vorrebbero condurre la propria professione nella maniera più proficua e lineare».
I docenti, infatti, si trovano a fare lezione ad una classe decimata, metà in presenza e metà a distanza con tutte le difficoltà che possano comportare gli aspetti tecnici e la stessa didattica.
«Se proprio dobbiamo rinunciare alla scuola, quella vera - concludono i docenti - meglio ritornare tutti alla DAD, perché questo non è lavorare. Non forma i ragazzi né sul piano nozionistico né educativo e neppure sociale. O tutti o nessuno perché questa non è scuola».