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Tra il numero e il nulla, e il numero è 6000!

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Da alquanto tempo a questa parte, una cifra, la cifra del titolo, mi va perseguitando senza pudore. Robespierre accusava Fouché nel famoso discorso che invece costerà la testa a lui, e a un certo punto disse: “Joseph Fouché, seimila paia di occhi ti scrutano!” Ora, la popolazione francese ammontava in quel tempo a trenta milioni di unità, 550 mila circa erano gli abitanti di Parigi, e i deputati della Convenzione, dove il discorso fu tenuto, erano 749. Da dove quel 6000? Leggo Seneca che, stigmatizzando alcune forme di vanità, narra d’un tale la cui gloria era quella di vivere in un oppidum di seimila abitanti. In un libretto sulla Guerra di Secessione americana trovo scritto che il fotografo Brady, che immortalò quanti più momenti poté del feroce conflitto, lasciò al tale Museo 6000 lastre fotografiche. Con più che trepida gioia, Erasmo comunica a Colet di aver trovato, in un Monastero presso Padova, tra greci e latini, sei migliaia di fogli manoscritti. A un mio nobile amico rimasto senza lavoro non è dato di chiedere il reddito di cittadinanza poiché i risparmi che custodisce in Banca superano, sia pure se di poco, la sacra cifra di 6000 euro, oltre la quale non ti si può dir povero. In Ecce homo, Federico Nietzsche racconta che le prime vivide intuizioni di quello che sarà il Così parlò Zarathustra gli eran venute mentre, un giorno d’Agosto del 1881, passeggiava tra i boschi che incoronano il lago di Silvaplana; e aggiunge di averne preso nota su un foglio in fondo al quale aveva scritto “6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo.” Vo a visitare il mio cugino Marco Antonio, la cui casa è un baccano perenne di gatti sul miagolio dei quali si libra poderoso il volume di una radio altrimenti inudibile, e la radio m’accoglie ruggendo: “Seimila sardine in piazza!” Nel carme quinto, nel quale invita la sua donna a coprirlo di baci, Catullo chiude con la necessità di scompigliare l’intero mucchio degli stessi perché il numero ne rimanga ignoto: a Lesbia e a lui, e ad ogni eventuale invidioso. Mi sorpresi una sera a pensare che se a quei baci avesse voluto dare un numero, Catullo avrebbe scelto la cifra che non torno a ripetere. Mezz’ora addietro, in piazza Skanderbèg, un simpatico crocchio di liceali appena maturati rivisitava l’incubo, ormai dissolto, degli esami. Converso un po’ con loro; mi confidano sogni, progetti; un poco ansioso è solo chi, iscritto a Lettere per amor di Lettere, intravede un futuro di raro e mal retribuito lavoro. Di colpo mi si chiede se ci sia stato un libro che io non abbia letto perché impaurito dalla mole – e rividi con gli occhi dell’anima, sul tal scaffale della Librairie Française di piazza Ognissanti in Firenze, i tre grigi volumi de L’idiot de la famille, sulle cui pagine Jean-Paul Sartre vomita tutto il suo malanimo su Gustave Flaubert. Un libro di cui so, un libro che mai lessi: ogni volume conta 2000 pagine, e 2000 x 3 nemmen per volontà divina cesserebbe di fare 6000.

         Son corso a casa. Ho scritto quanto hai letto. L’ossessione è un artiglio nel cranio. Perché il 6000 cessi di perseguitarmi immagino che ogni mente – le umane e la divina – cessi, ora e per sempre, di pensare quel numero. Non più pensato, il 6000 non c’è. Si salterà dal 5999 al 6001. Il numero, ogni numero, è mistero. Ente mentale, verità dell’Oltrecielo, è esso, insieme, medium confuso a ogni corpo, e legge che i corpi lega e governa vibrando immoto (altro mistero) per tutto ciò che si presenta a noi sotto la specie di Spazialità, più o meno densa, più o meno rarefatta. Il Tempo stesso viene franto dall’uomo in sequenze numerabili. Il Numero è impalpabile, ma tutta la serie dei numeri è dispiegata nel Palpabile. Se il 6000 non c’è, l’Essere (di cui il Palpabile è soltanto un aspetto) è rotto da una falla, la voragine inghiotte ogni altro numero, e ogni bimbo ogni sasso ogni auto ogni treno ogni stella ogni libro ogni campo di calcio ogni musica ogni casa ogni piazza ogni legge ogni distributore di benzina ogni pudìco palpito ogni impudìco monumento vaniscono. Ne vanisce il ricordo, se non c’è chi ricordi. Sarebbe il Nulla. Ma il Nulla va pensato, perché sia. E chi lo può pensare, se non il Nulla stesso? Il Nulla, però, non può pensare nulla: nemmen sé stesso. Posso negare Dio; lo potrebbe negare ogni uomo: ma se Dio è, séguita ad essere a onta di un eventuale ateismo dell’Umanità intera. Se invece Dio non pensasse il Mondo, il Mondo non sarebbe se e solo se il Mondo non fosse che il pensiero d’un Dio pensante altro da sé. Postuliamolo un attimo: il Mondo è pensiero di Dio, Dio non pensa il Mondo, il Mondo ergo non è; sarebbe Dio soltanto, e penserebbe sé stesso in un presente eterno. Io però (come ogni uomo) non potrei figurarmi un tale Dio poiché io, non esistendo, non potrei pensare. Però io esisto e penso: questo è certo. Penso il Mondo e posso supporre Dio. Perché sia il Mondo, basta l’Umanità: è il più forte argomento ateistico. Comunque, giacché esisto, posso, per esempio, bruciare un foglio di carta fino a ridurlo tutto in cenere. Non era prima che la cartiera lo producesse, non è più né sarà perché l’ho bruciato. Esso però fu, ed è un ente manufatto e distrutto, di cui posso serbare ricordo. Non ricordato più da alcuno, il foglio combusto sarà nulla. Un numero, per contro, non può cessare di essere. Non ne spegni il ricordo, ricordarlo è pensarlo inalterato (nessuno può pensare un 7 sotto forma di 8 o di 9 o di 6), e perciò eterno. Non soltanto bizzarro, ma folle è pertanto il proposito di alterare ogni numero o di ridurlo a puro nulla. Ed ecco che dal seno stesso di detta impossibilità, ogni corpo ogni legge ogni fascio di luce ogni onda sonora ogni numero ogni mente ogni galassia ogni topo ogni aquila ogni ora ogni minuto ogni sasso ogni strafiga tutta miele ogni acida zia ogni speranza ogni amore ogni odio ritornano. Ritornano poiché mai eran cessati. Ritorna chi afferma Dio, ritorna chi lo nega – Dio, mente inetta a ingannare e a ingannarsi; Dio, urgenza desiderio ipotesi paura; Dio, inghiottito e annullato pur Egli nella crepa se, con ogni mente umana o da sé solo, avesse compiuto l’impossibilità di annullare un ente (ripetiamo) inannullabile, quale è appunto ogni numero, e il nostro 6000 tra essi. Ritorno anch’io, poiché mai cessai d’essere, e di essere me stesso. Tutto è al suo posto. Anche le mie ossessioni.

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.