Di SAMANTHA TARANTINO
In tempi di riorganizzazione e di gestione di nuovi poli, i beni culturali del nostro territorio languiscono in un assordante silenzio. Ancora una volta, chiediamo non solo
dignità, ma che
ci venga restituito ciò che ci è stato tolto nei secoli passati, per donazioni non sempre veritiere e legali, o per trafugamenti e traffici illeciti. C’è un fenomeno ancora oscuro, ma così redditizio da arricchire casse altrettanto nere. Si tratta del
traffico illecito in Italia e all’Estero di beni artistici e archeologici che vengono rubati alla collettività recando uno sfregio al patrimonio stesso. I reperti, spesse volte, vengono imballati per essere imbarcati su bastimenti anche molto lontani. Non catalogati e quindi non registrati al momento del ritrovamento, sono di fatto inesistenti per la collettività, tranne per coloro che vengono commissionati per compiere veri e propri atti illeciti. Un mercato clandestino che adora l’arte classica soprattutto di area magno-greca. Ecco perché gli amanti del collezionismo aumentano, una clandestinità che strato dopo strato crea un crimine che però interessa poco, alimentando le cosiddette
archeomafie, che conservano nei “beni rifugio” parte della loro incommensurata ricchezza. Per questo tipo di crimini, si applica
il reato di ricettazione spesso contro ignoti, per un patrimonio che resta indebolito perché non tutelato. Del resto, siamo in uno Stato in cui si taglia sul numero dei
Carabinieri del Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale, falciati dalla scure del risparmio indiscriminato. Possiamo meravigliarci? Ma quale Stato civile permette che si possa rubare un reperto archeologico restando impuniti, mentre chi si appropria indebitamente anche di una penna rischia di andare in galera o pagare una penale? Capita, di tanto in tanto, che tali reperti vengano ritrovati e restituiti alle autorità preposte. È di qualche anno fa la restituzione al
Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide di alcuni reperti trafugati da alcuni tombaroli nella zona Timpone della Motta (Francavilla) e poi venduti al
J.P. Getty Museum di Malibù in California e all’
Istituto di Archeologia Classica di Berna (Svizzera). E vogliamo dimenticare la
conca del Monastero di Santa Maria del Patire, esposta
al Metropolitan Museum di New York dai primi del Novecento, la cui restituzione potrebbe essere il primo passo verso la riconquista dell’intero corredo liturgico del Monastero. E nulla toglie che alcune tessere dei mosaici si possano trovare in abitazioni private. Per non parlare del traffico di reperti che in questi ultimi tempi l
’Isis sta attuando con la sporca connivenza degli Stati occidentali. Certo, fino a quando avremo norme internazionali blande che non permettono controlli capillari e non si istituiranno i
Caschi blu della Cultura, si riuscirà a fare poco. E non è forse un grave danno per il nostro territorio
se si continua a far pagare due euro se non zero un biglietto per l’ingresso a un museo? È vero, il risveglio del Sud può venire solo attraverso la cultura, l’importante però è averne consapevolezza.