Il concetto più diffuso nel cubo 42c dell’ Unical è sicuramente quello di “economia circolare”: idee, progetti e studi che confluiscono nella possibilità di riutilizzare risorse e soprattutto creare lavoro. Insomma provare a ridare vita a qualcosa destinato ad essere buttato. E qui, nel dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica e gestionale, di idee e di progetti di questo tipo ce ne sono davvero tanti. L’ultimo in ordine di tempo è il kit che permetterà di trasformare le auto destinate ad essere dismesse in autovetture elettriche. L’idea, per così dire, di trasformare auto vecchie in auto nuove non è di certo innovativa. Infatti mezzi a trazione elettrica, non solo auto ma anche treni e bus, sono in circolazione già da qualche anno. Ma soprattutto dal 2015 è in vigore un decreto del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sul “retrofit”, cioè sulla possibilità di utilizzare le nuove tecnologie su vecchi sistemi. Qui al Dimeg dell’Unical, tra i sostenitori di tale decreto, si sta cercando di andare oltre. Produrre il kit con il supporto dell’industria 4.0 attraverso un processo che permetta di diminuirne i costi. «Noi vogliamo passare dai prototipi ai modelli di produzione industriale standard; per consentire a giovani ragazzi di avviare una produzione di auto “ricondizionate” in volumi interessanti». A parlare è il professore Daniele Menniti, docente di Sistemi elettrici per l’energia. L’obiettivo è quello di creare una start up che riesca a progettare e realizzare kit per autovetture da “ricondizionare” e stimolare la nascita di piccole aziende che recuperano le autovetture che altrimenti dovrebbero essere demolite (con tutto ciò che questo può significare, perché anche la demolizione ha dei costi) e trasformarle da “Ice” a “Pev”, cioè da un motore a combustione interna ad uno elettrico. Il tutto cercando di rivolgersi in particolare alle auto più diffuse.
LA PECULARIETÀ DEL KIT TARGATO UNICAL
«Produrre questo genere di kit ha dei costi elevati – spiega Menniti –. Se il numero delle auto è basso, il costo da ripartire nelle auto sarà più elevato. Per questo noi puntiamo a sfruttare l’industria 4.0 per ridurre le procedure di realizzazione. Quindi ridurre i costi ma allo stesso tempo creare posti di lavoro». Un sistema che, come già detto, implementi l’economia circolare.«Noi puntiamo a un sistema che va dalla start up innovativa, che introduce appunto innovazioni, alla start up classica – prosegue ancora Menniti – che realizza a livello industriale i prodotti finali per realizzare il retrofit». Nell’“officina” del Dimeg studenti e ricercatori, accompagnati dai loro docenti, lavorano da qualche mese su una microcar, su cui vengono fatti i test per capire i vari gradi di adattabilità. «L’abbiamo acquistata nel 2016 – ci racconta Alessandro Burgio, ricercatore del Dimeg -. Abbiamo tolto il motore diesel e tutto ciò che ad esso era collegato, come ad esempio il serbatoio. Al suo posto abbiamo sistemato una piastra dove poi sarà posizionato il motore elettrico». Oltre ai tecnicismi, cerca anche di spiegarci perché il dipartimento ha deciso di puntare su questo tipo di progetto: innovazione, certo, ma ancora una volta economia circolare. «Siamo partiti da un assunto principale: ovvero che spesso molte auto si portano al macero solo per il motore che non va più, mentre tutto il resto può essere salvato o è in buone condizioni. Ecco, vorremo evitare questo spreco e puntare su un nuovo tipo di officina che significa anche nuove opportunità di lavoro». «Poi – continua – tutto quello di cui abbiamo bisogno è possibile realizzarlo in Calabria, senza andare oltre regione o addirittura all’estero. Cerchiamo di far rimanere qui tutta la filiera della produzione».
KIT PER LE AUTO MA NON SOLO
E infine gli studenti e la loro formazione. Qui alcuni tesisti sono impegnati ogni giorno per poter portare questo progetto nell’elaborato finale che andranno a discutere e hanno in progetto di rimanere in Calabria. «Cerchiamo di essere un’università di qualità – chiosa Burgio -. Alle nostre idee e a quelle dei ragazzi devono seguire i fatti. Anche perché noi non vogliamo tradire le loro aspettative». Entrando nei laboratori e nelle officine del 42 c, ci si rende conto che il Dimeg è una vera e propria fucina di idee. E ce lo conferma lo stesso Menniti. Che ci spiega anche come l’altro obiettivo che si pongono sia quello di dare un contributo alle green economy e dunque alle energie rinnovabili. Nei laboratori si sta lavorando a un generatore elettrico per le caldaie a pellet; che permette di creare energia e quindi rendere autonome dalla rete elettrica le abitazioni. Ma è stato brevettato anche un lampione fotovoltaico intelligente che permette di accumulare energia elettrica e di trasferirla anche a distanza attraverso l’utilizzo del sistema di “Power cloud”. Ed ancora, è in fase di progettazione la realizzazione di case prefabbricate in legno che possono essere utilizzare in situazione di emergenza, come ad esempio dopo i terremoti. L’obiettivo è quello di creare un nucleo abitativo con tutte le componenti essenziali e poi, una volta installati, potranno essere ampliati in base al gusto e alle esigenze dell’utente. Il progetto prevederà l’utilizzo del legno calabrese, per sfruttare al massimo la filiera locale.
PROGETTI FINANZIATI GRAZIE AI PON
Questi progetti, e tanti altri ancora, sono finanziati grazie ai Pon del Ministero e ai programmi di ricerca e sviluppo dell’Unione europea come Horizon 2020. Fondamentale è il supporto di Creta (Consorzio regionale per l’energia e la tutela ambientale), spin off dell’università della Calabria che, nato nel 2009, si propone come partner per enti e aziende che intendono trarre vantaggio dal libero mercato delle energie rinnovabili. Tante le idee realizzate e tante ancora quelle stanno prendendo forma. Ma l’unico rammarico dello stesso Menniti sono i tanti giovani che vanno via. «C’è il raro caso di qualcuno che dopo un’esperienza fuori ha deciso di ritornare qui, nonostante il precariato – conclude il docente -. Ma sono soprattutto in molti, anche menti eccellenti, che decidono di lasciare la Calabria dopo la laurea. Questo è senza dubbio il dispiacere più grande».