di SERAFINO CARUSO Sono tutti bravi a parlare. Tutti bravi a puntare il dito. Tutti bravi, però, anche a nascondersi. Nei momenti opportuni. È un vecchio vizio che caratterizza questo territorio. O meglio, gli abitanti di questo territorio. Tutti sono esperti di tutto. La famosa categoria, tanto per intenderci, dei tuttologi. Sono quelli bravi soltanto a parlare. E a puntare il dito.
Persone allergiche al verbo “fare”. Ce ne sono tante da queste parti. Hanno da dire su ogni argomento: dalla politica allo sport, dalle problematiche territoriali al modo di amministrare. Uno temi che sta più a cuore ai rossanesi è il brutto momento che vive la città sotto il profilo calcistico. E
quando parliamo di calcio non possiamo non pensare alla squadra di calcio dei rossanesi: quella Rossanese che, purtroppo, non esiste più. Complice una
crisi economica che ha visto venir meno l’apporto di capitali sia pubblici che privati. Ma soprattutto per colpa di
gestioni societarie avventizie e dirigenze inette e incompetenti. Incapaci di programmare e gestire una società di calcio. Che sappiamo non essere semplice. Anzi. Chi vuole fare calcio, in maniera seria, deve sapere di poter puntare su almeno quattro fattori imprescindibili: la competenza manageriale, i capitali, le risorse umane, le strutture. Stiamo parlando di calcio che va dal semiprofessionistico (quindi dalla Serie D) a salire.
A Rossano, così come nel circondario, non c’è mai stata una politica calcistica lungimirante. Ci sono state
buone esperienze, buone parentesi. Conclusesi tutte per svariati motivi. Negli anni ’70, con i presidenti
Franco Lauria (in Promozione), quindi
Giovanni Antoniotti e Giuseppe Tripodoro (nel primo storico campionato di Serie D, stagione 1979/’80); gli anni ’80 la riconquista dell’Interregionale con
Giuseppe Ioele. Nei
primi anni ’90, con un
gruppo di imprenditori locali messi insieme da Pasquale Lapietra. Ottimi campionati di Interregionale. Quindi la bella parentesi di
Carmelo Fedele. Per giungere agli anni della
Serie D con Alfonso Guerriero. Le ultime stagioni (pochi anni fa) di Serie D e buon calcio. Poi il vuoto. L’ascesa
dell’Audace Rossanese e il suo lento declino. Fino alla scomparsa. Nell’ultimo campionato, il
Piragineti Rossano ha disputato i play-off di Seconda categoria. Adesso vuole cambiare nome in Rossanese con la speranza di un ripescaggio in Prima. Ma, al di là delle buone intenzioni di questi seri dirigenti guidati da
Pietro Lefosse che stanno tenendo vivo l’interesse calcistico rossanese, ci vuole ben altro per puntare al grande salto di qualità.
Si deve pensare al calcio come non lo si è mai fatto in questa città. Non è detto che la parola “calcio” debba essere per forza di cose sinonimo di malaffare e dirigenti truffaldini. È vero: siamo stati abituati a questo. Ma le cose possono cambiare.
Serve serietà. Servono persone serie. Integerrime. Serve un pool di imprenditori seri e onesti. Che con il calcio non pensano solo ad arricchirsi. Un imprenditore da solo non può far risorgere la Rossanese. E, dalle nostre parti, non mancano le persone capaci di fare calcio. Gli imprenditori di rilievo. Mettendo ciascuno una quota parte, si può ambire a grandi obiettivi. Innanzitutto al
Professionismo. E, perché no, alla
Serie B. Gli esempi di piccole realtà, anche con pochi tifosi, non mancano. Perché Rossano non potrebbe riuscirci?
A tutto questo va aggiunto un elemento essenziale: il ruolo della politica cittadina. Chi andrà a guidare il Comune dovrà dimostrare seriamente di voler puntare sul calcio.
Convocando gli imprenditori di cui abbiamo parlato. E partecipando, anche solo moralmente, al progetto. Che deve avere una visione pluriennale. Il calcio potrebbe portare tanta visibilità al territorio. Tanto turismo.
Una politica che non pensa a queste cose e mette la testa sotto la sabbia non è una buona politica. Si rifletta bene, dunque.
Serietà, progetto, volontà, lavoro, dedizione. Con questi elementi, potremo riuscire a riabbracciare la nostra tanto amata Rossanese di nuovo allo stadio.