Il diritto d’autore è nato su una tavola imbandita di Sybaris: il primo brevetto della storia fu una ricetta
Nel tempo del Natale, tra tavole imbandite e tradizioni che si tramandano, ecco una storia sorprendente: oltre 2.700 anni fa, proprio nella Calabria nord-est, qualcuno decise che un piatto meritava di essere protetto per legge
SYBARIS - Non è nato in un tribunale, né in un laboratorio, né tra pergamene di giuristi. Il primo brevetto della storia nasce attorno a una tavola imbandita, tra profumi speziati, mani sapienti e il culto antico del piacere. Succede più di 2.700 anni fa, mentre il mondo non conosceva ancora il concetto di diritto d’autore e l’idea stessa di proprietà intellettuale è lontana secoli. È quasi Natale, anche allora: tempo di abbondanza, di cibo come linguaggio universale, di identità che passano di mano in mano. Solo che quella tavola non è una cucina qualunque, ma era una cucina di Sybaris, la città che per prima decise di proteggere una ricetta con la legge.
A raccontarlo è lo storico ateniese Filarco. Nel VII secolo avanti Cristo, nella più opulenta e avanguardistica polis della Magna Grecia, viene emanata una norma che garantisce all’inventore di una pietanza il monopolio temporaneo sull’uso della ricetta. Un atto giuridico vero e proprio. Il primo brevetto della storia. E nasce, sorprendentemente, in cucina.
Una vicenda che non è solo una suggestione storica perché è oggi ufficialmente censita tra i 100 Marcatori Identitari Distintivi (MID) della Calabria, all’interno del progetto Calabria Straordinaria, frutto di un lavoro di ricerca, analisi e narrazione partito oltre 20 anni fa e che ha visto la sua luce, grazie proprio al lavoro e alla volontà del Presidente Roberto Occhiuto, solo negli ultimi anni. Un percorso ideato e sviluppato dal comunicatore Lenin Montesanto, che ha portato alla costruzione di un vero e proprio atlante identitario regionale: cento primati, unicità e segni profondi che raccontano una Calabria inedita, spesso invisibile, ma sorprendentemente moderna.
Ma qui si apre uno degli aspetti più affascinanti – e irrisolti – di tutta la vicenda: non sappiamo quale fosse quella ricetta. La legge è attestata, il principio giuridico è chiaro, il primato storico è fuori discussione. Eppure il piatto che scatenò questa rivoluzione è scomparso. Nessuna descrizione, nessun ingrediente, nessuna traccia diretta è arrivata fino a noi. Solo l’eco di un’idea fortissima: che una creazione culinaria potesse essere così innovativa da meritare tutela esclusiva.
Un vuoto che dice molto. Perché Sybaris, spesso ricordata come simbolo di lusso e piacere sfrenato, rivela qui il suo volto più profondo: quello di una civiltà capace di riconoscere valore all’ingegno, alla creatività, alla sperimentazione. Anche quando prende la forma di un piatto. La gastronomia non come semplice nutrimento, ma come atto culturale, sapere distintivo, identità.
Il mistero della ricetta perduta rende questa storia incredibilmente attuale. In un’epoca in cui chef stellati, ristoratori e creativi del cibo discutono di copyright culinario, di tutela delle invenzioni gastronomiche e persino di piatti “copiati”, scopriamo che il problema era già stato posto millenni fa. Solo che allora, come oggi, non era il piatto in sé a contare, ma l’idea, l’intuizione, la scintilla creativa.
Il Natale amplifica il senso profondo di questo racconto. È il tempo in cui le ricette tornano ad essere memoria viva, tramandate oralmente, custodite gelosamente, spesso mai scritte. Ed è forse proprio per questo che quella ricetta di Sybaris è andata perduta: perché apparteneva a una tradizione orale, effimera, destinata a vivere finché qualcuno la cucinava. La legge l’ha protetta, ma il tempo l’ha cancellata.
Quel brevetto non fu un episodio isolato, ma parte di un disegno più ampio. Sybaris fu tra le prime città a dotarsi di leggi scritte, a praticare la diplomazia internazionale, a costruire un modello sociale aperto, inclusivo, fondato sul benessere. In questo quadro, il cibo non era un dettaglio marginale, ma uno strumento di civiltà, un linguaggio attraverso cui affermare primati culturali.
Raccontare oggi il primo brevetto della storia, riconosciuto come Marcatore Identitario Distintivo, significa allora fare molto più che recuperare una curiosità archeologica. Significa riconoscere alla Calabria un ruolo da anticipatrice della modernità, restituire profondità a un territorio spesso schiacciato da stereotipi e accettare, allo stesso tempo, che alcune risposte restino sospese.
Forse è giusto così. Forse il senso più autentico di questa storia sta proprio nel mistero. In una ricetta che non conosceremo mai, ma che ha cambiato per sempre il modo di pensare il valore della creatività. E non c’è momento migliore del Natale per ricordarlo: quando il cibo torna ad essere racconto, rito, identità condivisa. E quando, attorno a una tavola, il passato continua a parlarci anche attraverso ciò che abbiamo perduto.