E arrivò il tempo degli asparagi... la pianta che declamò Orazio e incantò Williams. Cibo una frittata da ricchi
Un vero e proprio rito, quello della raccolta degli asparagi che in questi giorni di perpetua sulle colline joniche. Un'attività umana che si ripete da sempre, che richiede abilità, conoscenza del territorio, pazienza e coraggio
VACCARIZZO ALBANESE - In questi giorni, in tanti vanno per i sentieri delle colline arbëreshe, bagnate dall’oro della luce primaverile, a compiere il rito della raccolta degli asparagi selvatici. È un'attività umana e popolare che richiede abilità, conoscenza del territorio, pazienza e coraggio: al pericolo delle vipere infatti si è aggiunto quello dei cinghiali. Spesso, lungo i bordi delle strade, c’è qualcuno che rivende a caro prezzo questi prelibati e salutari doni della natura.
Già il poeta latino Orazio del I secolo a.C. ha dedicata loro una poesia:
Non ti piacciono gli asparagi?
Io li adoro,
specialmente quelli selvatici,
che crescono liberi nei campi.
Li preparo in molti modi diversi,
e in ogni boccone sento il sapore
della primavera.
Al riguardo, però, ho apprezzato ancor più i versi dell'americano William Carlos Williams:
Gli asparagi crescono
come schizzi di fuoco
dalle zolle scure della terra.
La primavera è la loro stagione,
la stagione della vita che rinasce.
E il loro gusto è come nessun altro,
amabile e amaro insieme,
un sapore che ricorda la vita stessa
Tra le ricette più popolari con gli asparagi selvatici, spicca quella della frittata: piatto semplice e gustoso che degli asparagi esalta il sapore. Decantiamo qui le sue virtù gastronomiche ricordando i soldati romani che chiamavano la frittata “ovorum intriga”, uova sbattute. Ai centurioni non mancava mai lo strumento di cottura chiamato “frixorium", la padella per cucinare la frittata.
Ma neanche i nobili disdegnavano la frittata: essa veniva apprezzata perfino nella raffinatissima corte di Costantinopoli in una sua vaporosa versione detta “sphoungate” (spugna). Oggi la frittata è presente in quasi tutte le culture del globo. Ho vissuto un'esperienza indimenticabile ad Osaka, dove attorno ad un tavolo con fornello incorporato, ho assistito alla preparazione di un “tamagoyaki”, la frittata giapponese. In una teglia quadrata le uova sbattute vengono assemblate gradualmente a strati come una torta.
Ho letto dell’avventura del giornalista del Financial Times che ha raccontato il gran finale di alcuni giorni di vacanza nella Francia, resi roventi dagli scioperi e dalle turbolenze sociali.
Sulla via del ritorno verso il Pas-de-Calais e il tunnel sotto la Manica, fermò presso un distributore di benzina, dove, spronato dalla dolce metà, il bravo giornalista chiese una frittata.
Sistemati vicini all'autostrada, seduti in una nuvola di gas di scarico dei camion, dopo un tempo interminabile, davanti al tavolo e alle posate di plastica, la gestrice portò loro la frittata più magica e meravigliosa che avessero mai mangiato. Tornati in Inghilterra, di fronte alle insistenze delle moglie e ai suoi rimproveri, il giornalista remissivo riuscì a contattare la stazione di servizio e si fece mandare per iscritto dalla responsabile del ristorantino la ricetta. «Mi hai fatto l'onore di chiedermi qual è la mia ricetta segreta per fare la frittata. Bene, ecco qua: rompo tre uova in una ciotola e le sbatto leggermente, dopodiché metto un po' di burro in una padella a fuoco vivo. Versando il composto di uova sbattute sopra il burro, mi preoccupo, con qualche giro, che la frittata non si attacchi. Quando vedo che è pronto, tolgo la padella dal fuoco e lo capovolgo sul piatto».
Renderei di stagione questa ricetta meravigliosamente semplice, cambiando il burro con un più salutare filo d’olio d’oliva e aggiungendo una manciata di asparagi selvatici. Se l’olio e gli asparagi provengono dalle nostre zone, potete chiamarla “fritatë me spëranj”.