«Non siamo demoralizzati. Siamo coraggiosamente arrabbiati»
La storia di Nataliya, ucraina trapiantata nella Sibaritide: l'apprensione per la madre disabile lontana, l'autodeterminazione di un popolo. Il racconto di uno spaccato di storia tra commozione e tantissimo spirito nazionalistico
CORIGLIANO-ROSSANO – Manifestazioni, sit-in, preghiere e tante altre iniziative si stanno svolgendo in Italia, così come in Calabria, atte ad esprimere il dissenso nei confronti della guerra Russo-Ucraina.
Noi dell’Eco non entreremo nel merito della questione geopolitica ma, come è nostro cliché, cercheremo di raccontare le storie di chi sta vivendo con particolare apprensione questi momenti di guerra. Siamo andati in una delle tante comunità ucraine della Sibaritide per capire questa triste vicenda, attraverso le parole e il pathos di chi è nato e cresciuto ed ancora mantiene forti legami familiari ed affettivi con il suo paese, .
Abbiamo incontrato Nataliya. Quella che ci racconta è una cronaca degli ultimi avvenimenti, a tratti concitata, a tratti terribilmente emozionante. Una signora di 49 anni, sposata con un italiano dal quale ha avuto tre figli, la più piccola di appena 2 anni. Nataliya vive con la sua famiglia in un paese dell'area ionica.
Appena le chiediamo della guerra, scoppia a piangere e ci parla di sua madre che vive in una cittadina nel centro dell’Ucraina, 69 anni d’età, vive assistita da una badante e anche per questo motivo, la preoccupazione dell’unica figlia che ha, è tanta.
«Sento mia mamma anche tre volte al giorno – ci dice Nataliya – sono sempre in apprensione per lei e i miei familiari che vivono tutti insieme da quando la guerra è scoppiata. La nostra città è stata bombardata solo un giorno, ma le sirene d’allarme suonano continuamente per avvisare di un probabile attacco, elicotteri ed aerei russi sorvolano l’area continuamente».
Chiediamo alla signora che stato d’animo abbiano i suoi parenti in questo momento: «Sono tutti preoccupati ma convinti sostenitori del presidente Volodimir Zelens’kij, lui è uno del popolo, il primo presidente che ha dimostrato di essere umano e coraggioso, proprio come gli ucraini che ora sono in Patria a combattere, tutti convinti che la guerra sia giusta e necessaria per riprendere la dignità e l’identità che da sempre è stata soffocata dalla Russia».
Le dichiarazioni di Nataliya ci stupiscono un po', ma lei ci spiega in un perfetto italiano, che anche dopo la caduta del muro nell'89, l’Unione Sovietica nei fatti, ha continuato a vivere e a condizionare le loro vite.
Giunta in Italia 20 anni fa in cerca di un futuro migliore e di libertà, Nataliya si rende conto che l’Europa è un paradiso: «Quando lavoravo nel mio Paese, mi pagavano con l’olio di semi – racconta emozionata – e, come fino a qualche anno fa ancora succedeva, in Ucraina la lingua formale era il russo, parlavamo ucraino solo tra le mura domestiche, quasi come se fosse una vergogna. Ora le cose stanno cambiando e a farlo, sono le nuove generazioni che hanno ritrovato l’identità che noi non abbiamo neanche conosciuto, perché fortemente plagiati e spaventati dal regime. Forse per questo motivo, oggi in Ucraina la paura lascia il posto al coraggio».
Nataliya è visibilmente provata, ha nuovamente l’esigenza di raggiungere telefonicamente la madre lontana, ci saluta lasciandoci con queste parole: «Putin ha dichiarato che “gli ucraini non esistono”, ma stiamo dimostrando che non è così, siamo fieri di riprenderci il nostro retaggio e la nostra identità, che la Russia ha calpestato per troppo tempo».