IL DIARIO DI CHARLOTTE - La Sila greca, ultimo atto di un viaggio fantastico nella Calabria del nord est
Da Cariati a Crosia risalendo paesaggi unici e inesplorati, lontani dalle rotte turistiche convenzionali. Abbiamo viaggiato a piedi nella settimana più calda dell'anno ma che ci ha fatto scoprire meraviglie mozzafiato
IL DIARIO DI CHARLOTTE – Diario settimanale
Questa settimana è stata l’ultima di un viaggio iniziatico che mi ha portata da Rocca Imperiale a Crosia, passando per una grande varietà di paesi dell’entroterra dello Jonio cosentino. Ogni paese mi ha fatto provare emozioni diverse, e mi ha permesso di scoprire qualche peculiarità del posto.
Una cosa è stata però comune a tutti i posti attraversati: l’ospitalità.
In Calabria, se hai bisogno di aiuto, trovi sempre qualcuno pronto a darti una mano. È anche facile "entrare in confidenza" con chiunque. La paura dell’altro non esiste o è rara. Prodotto di una cultura, di un'abitudine, o della storia (la Calabria è da sempre terra di accoglienza), questa ospitalità non è una leggenda.
Eccovi in breve il racconto della mia esperienza nei paesi della Sila Greca, le mie ultime tappe per il Diario di Charlotte, da Cariati risalendo fino a Crosia.
TAPPA 16 – CARIATI, IL PAESE DEI PESCATORI
Così inizia l'ultima settimana di viaggio attraverso lo Jonio cosentino: Cariati, e il suo centro storico che domina il mare, circondato da mura edificate nel XIV secolo per controbattere le invasioni turche. Vicino al mare, al contrario dei paesi dell'entroterra che ho visto finora, è una tappa decisamente speciale.
Al mattino, seduti al tavolo di un bar, ho chiacchierato con la sindaca del paese, Filomena Greco, e la nostra guida Umberto Russo. Filomena non aveva dormito la notte prima: da 5 giorni, infatti, il centro storico di Cariati era privo d'acqua; un problema comune ad altri paesi, colpa anche del fatto che non piove da diversi mesi.
Dopo queste disquisizioni, Umberto mi ha fatto visitare la cattedrale di San Michele Arcangelo del XVII secolo, con il campanile più antico di tre secoli. Dentro quest'edificio si stava preparando un matrimonio (rito molto frequente in questo mese di agosto). Di un’importanza fondamentale per Cariati sono San Cataldo, protettore dei pescatori e Alessandro Vitetti, parrocco di questa comunità, amato dai fedeli fino alla sua scomparsa nel 1995 e del quale è in corso il processo di beatificazione (che può durare più di 100 anni). Lunga è l'attesa dei fondi per la ristrutturazione dell'antico palazzo del vescovo, ricoperto da 8 anni da un telone: si spera che diventi la prossima casa della cultura.
Dopo aver attraversato l’antica Porta Pia e il corso XX Settembre che divide il borgo in due, mi sono trovata su un belvedere che si affaccia sul mar Jonio di un blu profondo. Sui muri, tanti murales che rappresentano la vita quotidiana nell'inizio del XX secolo. Un progetto del “Coordinamento Donne Cariati", fondato dalla Sindaca Greco, che è a capo di un’amministrazione quasi interamente femminile.
Cariati è anche fatta di sapori: sono rimasta piacevolmente stupita dalla famosa gelateria Fortino e dal suo gelato "il cariatese", che è stato eletto tra i migliori al mondo. Il proprietario premiato Luigi Fortino mi ha dato un cucchiaino di gelato di un gusto diverso l'uno dopo l'altro, e non sono riuscita a rifiutare...
Dopo questa passeggiata e la visita di una tomba Brettia, molto ben conservata, ci siamo recati a Cariati Marina. Sembravo fuori luogo, vestita in attrezzatura da trekking in una città di mare. Ho apprezzato vedere il porto e il suo famoso cantiere navale che mi ha ricordato il mio paese, Concarneau. Sono originaria di una famiglia di pescatori, e mi sento sempre a mio agio in una città portuale.
Visitare una città di mare e non assaggiare il suo pesce sarebbe stato blasfemo: al bar Leonardo ho assaggiato gustosi frutti di mare e spaghetti alle alici, con un buon vino bianco "Greco", prodotto proprio dalla famiglia della nostra ospite del giorno.
"U lupu è scisu a la marina". E il lupo sono io!
TAPPA 17 – PIETRAPAOLA, LA PICCOLA MATERA CALABRESE
Pietrapaola, comune di 1000 abitanti di origine Brettia, non a caso ha questo soprannome di “piccola Matera": il paese e tutto il territorio che lo circonda è ricco di grotte scavate dall'uomo durante la preistoria, abitate poi dai monaci bizantini fuggiti dal medio oriente. Un paesaggio “gruyère” dotato anche di rocce scolpite dal vento in forme strane.
Alla Timpa del Castello, che sovrasta il paese, si rifugiava la popolazione in caso di pericolo. Passeggiando per i vicoli, ho attraversato l'arco del Colonnelle e a ogni angolo ho trovato una misteriosa grotta da esplorare. Il punto più impressionante del borgo è senza dubbio la Grotta del Principe: per andarci bisogna salire una ripida scala scavata nella roccia stessa. Però ne è valsa la pena: la vista su Pietrapaola dall'alto è spettacolare. Ho potuto ammirare quattro colonnine con capitelli scolpite nella roccia stessa.
Pietrapaola è un centro storico molto bello, ma poco abitato: sono tante le case abbandonate. Ma chiacchierando con il gestore di un ristorante, scopro che in paese c'era una festa e, proprio per questo, si vendevano i dolci chiamati culurelli.
Mariella Berardi, una giovane abitante di Pietrapaola, mi ha raccontato com’era la vita qui un tempo, prima che purtroppo si perdessero le tradizioni man mano che la popolazione è andata via. Nel paese si tenevano diversi eventi, feste di paese come la celebrazione di San Domenico in estate, momenti di gioia fatti di incontri, fede, e processioni. La Focarina che si accendeva durante la notte di Natale, o il Nannarello, pupazzo bruciato a Pasqua dopo la simulazione di un funerale e che brucia con lui le energie e pensieri negativi. Mariella è nostalgica di questi momenti persi, e sogna un ritorno alla vita per il suo paese che soffre molto, secondo lei, dell’assenza di valorizzazione.
Pietrapaola è comunque un borgo da non perdere per chi ama i misteri ed è curioso: per esplorare tutte le sue grotte ci vorrebbero delle settimane, così come ci vorrebbe un'intera vita per carpirne tutti i segreti.
TAPPA 18 – MANDATORICCIO, IL PAESE DEI CUOCHI
La via verso Mandatoriccio è piena di mulini quadrati idrici: originali opere del genio umano che servivano a macinare sia le olive che il grano. Questa giornata è dunque iniziata con un’allusione al cibo e senza saperlo avevamo già trovato il filo conduttore del viaggio odierno. Scoprirete più avanti perché.
Mandatoriccio, dal nome del suo feudatario, è stata fondata alla fine del 500' sulle terre della Baronia di Pietrapaola. Sulla piazza principale sorgono le torri di pietra del 400' del castello che oggi è la sede del comune. È anche positivo che i luoghi storici diventino posti di vita: dove si va a lavorare ogni giorno, o di cultura come accadrà in questo finesettimana quando qui si terrà lo spettacolo teatrale di Rossella Pugliese.
Dopo avermi chiesto di fargli una foto, un fruttivendolo mi ha regalato un melone, ed era molto entusiata all'idea di comparire sul giornale. La sua simpatia e questa breve chiacchierata mi ha spinta a continuare il mio giro con uguale entusiasmo.
Sono rimasta incuriosita da una statua dedicata a "Zu' Saveriu" in ricordo del suo impegno per Mandatoriccio. Chiedendo in giro, un signore mi ha risposto con molto trasporto che Zu' Saveriu era un maestro disabile (aveva perso l'uso delle gambe) estremamente colto. Aiutava i ragazzi a scegliere gli studi adatti ai propri talenti: così ha spinto tanti giovani a iscriversi in prestigiose scuole di cucina; alcuni di loro hanno oggi ristoranti stellati in Italia ma anche in Francia o Germania.
Ammaliata da questa bellissima storia, ho continuato il mio cammino fino ad arrivare da un parrucchiere particolare, "U barone". L'interno del suo locale è proprio simile a un museo: foto, oggetti degli anni 60 e cassette di musica che si possono ancora ascoltare con una radio appoggiata su un mobile. A Mandatoriccio, tutti i negozi sembrano così, fermi nel tempo. Mentre continuava a tagliuzzare capelli, u'barone mi ha detto che ha «solo musica da vecchietti». Ho scelto una cassetta di Lucio Battisti ma il lettore era rotto. Mi ha regalato la cassetta e mi sono sentita onorata da tutti questi piccoli gesti di fiducia e accoglienza.
La sera ho partecipato ad un evento culturale tenutosi alla Marina di Mandatoriccio: al castello dell'Arso, dove si teneva la prima serata del festival Contropendenze del collettivo Fiuminarso. Una settimana di eventi culturali e musica in un posto magico, dove contrastano il grigio della pietra, il blu dello jonio, e il verde dei fichi d’India. Il Castello appartiene alla famiglia di Giulia Mascaro, una delle organizzatrici dell'evento, e che ha fatto ristrutturare gran parte della proprietà. La sua torre imponente del 1100, all'origine destinata alla sorveglianza del territorio, ha 4 pareti che puntano verso i punti cardinali. Giulia mi ha fatto anche vedere le macine; in questo posto venivano a lavorare in tanti dal paese (a piedi), fino agli anni '60.
Il progetto di Giulia ha un punto in comune con il nostro: cerchiamo entrambi di rivalorizzare e di ridare vita a posti bellissimi ma dimenticati. Grazie al progetto di Fiuminarso, i mandatoriccesi possono ritrovare posti che hanno fatto parte della loro storia.
Lì, si fa comunità, si crea rete, attraverso l'arte, la cultura, la valorizzazione della bellezza che abbiamo in Calabria. Emozioni diverse, cultura, cibo, storia, ma soprattutto eventi e incontri inaspettati e ispiranti: è questo che mi appassiona di più del viaggio.
TAPPA 19 - CALOVETO E CROSIA, LA FINE DI UN VIAGGIO NELLA CALABRIA DEL NORD EST
Da Mandatoriccio ci siamo spostati verso Caloveto. I dintorni di questo paese sono caratterizzati da un paesaggio unico. Fermandomi al Cozzo di Maestro Pasquale, ho ammirato queste conformazioni rocciose scavate dal vento e dalla pioggia in migliaia di anni e il panorama mozzafiato sul Trionto. Purtroppo ci sono dei fuochi in lontananza. Ne vedo ogni giorno. Spesso appiccati dai criminali in zone remote dove è difficile raggiungerli per spegnerli. Da me, in Bretagna, gli incendi sono invece molto rari.
Caloveto è, come Pietrapaola, composta d’ampie grotte eremitiche. Queste sono opera dei monaci basiliani, e rappresentano le prime tracce delle abitazioni dell’antica "Calibyta". Quando si stabilirono tra le colline della Sila Greca, questi eremiti edificarono monasteri e chiese ancora visibili oggi.
Girovagando per il paese mi rendo conto che qui regna una vera fiducia verso gli altri: i vicoli sembrano salotti dove ognuno può lasciare effetti personali senza paura che vengano rubati.
«Cosa caratterizza Colveto secondo te?» Ho chiesto al gestore del bar "Movida". «La simpatia» mi ha risposto. E questo vuol dire tanto.
La grotta di San Giovanni Calibyta è una struttura incredibile parzialmente crollata. Si scende tramite una piccola scala e da lì si possono osservare dei resti, testimonianze del passato, e una visuale sul paese attraverso questo corridoio naturale. È un posto poco curato ma che merita di essere visto. Questo territorio è disseminato di innumerevole grotte eremitiche che hanno un potenziale e un fascino infinito. Forse solo ora comprendo a pieno tutta l'importanza dell’obiettivo di questo progetto di valorizzazione dello Jonio cosentino.
Crosia, invece, è la tappa finale del Diario di Charlotte. Consapevole di vivere gli utlimi istanti di un'avventura unica, ho provato comunque a non lasciarmi trascinare dalle emozioni.
Crosia ha delle origini antichissime: si dice che Enea si sarebbe fermato lungo il Trionto mentre risaliva verso il Lazio e avrebbe dato il nome di sua moglie, Kreusa, a questo posto... all'attuale paese.
Era d'obbligo fermarsi nella valle del fiume Trionto, alla confluenza con il torrente Laurenzano. Un paesaggio di una simmetria quasi perfetta: guardando verso la Sila si vede la montagna con in cima quella che secondo i cropalatesi è "la faccia dell'indiano".
La mia visita a Crosia è stata ricca d'incontri: con Francesco, un caro amico di Luigi, appassionatto dai Brettii, e suo padre Tommaso. Accolta a casa loro come se fosse mia, ho visto come si preparano le deliziose alici "scattiate". L'ospitalità calabrese in tutta la sua genuinità. Ho imparato a pulire le alici e assaggiato le fave coltivate sulla collina dietro casa. L'odore in cucina era favoloso. Mentre chiacchieravamo, mangiavamo qualche pezzo di una gustosissima pancetta fatta da Tommaso. Parlando del più e del meno abbiamo scoperto che Tommaso e Lorenzo hanno qualche antenato in comune: una notizia inaspettata che ha arrichito questo bellissimo momento.
Francesco, appassionato di cucina e di archeologia, è innamorato dal suo paese, che ha lasciato a malincuore. «Era un paradiso terrestre». Ogni volta che torna è triste perchè ne constata lo spopolamento, che prosegue dagli anni '50. Per lavoro famiglie intere sono andate via. In estate, il paese è comunque pieno di gente che ritrova i parenti, soprattuto ad agosto per la "Remurata", una festa popolare unica.
Sono stata fortunata a salire sul campanile della chiesa di San Michele Arcangelo dal quale si vede un panorama eccezionale a 360 gradi sul paese, il mare e la montagna. Una bellezza che toglie il respiro e che regala una sensazione indescrivibile.
Scendendo da Crosia ho avuto modo di visitare un casolare della Chiesa, abbandonato dagli anni '50, dove si vedono ancora le tracce di decorazioni. Dopo aver mangiato qualche mora selvatica, ho raggiunto l'ultimo punto di questo viaggio incredibile: l’imponente castello di Mirto. Costruito dal barone Mandatoriccio nel 1600, era un enorme masseria. L'attuale Mirto non esisteva: era una zona prettamente agricola.
Lasciando le rovine di quest’edificio, provo una sensazione strana: quella di aver portato a termine un progetto più grande di me, ma anche molto personale.
Sono già nostalgica.
Una porta si è aperta dentro di me durante queste quattro settimane. Ho imparato tanto e sono determinata a iniziare nuovi progetti, in Calabria o altrove.
Quattro settimane intense, durante le quali Lorenzo, Luigi e io abbiamo saputo superare difficoltà ma anche vivere momenti di felicità, spesso grazie alla gente che incontravamo durante i nostri giri. L'ospitalità e la disponibilità del popolo calabrese mi ha stupita ogni volta.
Vorrei ringraziare ogni persona incontrata lungo il cammino: sindaci, assessori, pastori, commercianti… e curiosi che si sono avvicinati per capire il senso del nostro progetto: valorizzare questa bellissima Calabria.
Bonus del viaggio: posso ormai parlare una nuova lingua... il dialetto rossanese! Grazie a i miei insegnanti del club trekking! Grazie a questo idioma, sono riuscita ad avvicinarmi di più alla gente che incontravo, quando l'italiano forse non era sufficiente.
Un'esperienza bellissima, e insisto: incoraggio chiunque aduscire e farsi una passeggiata, anche vicino casa, perché ci sono dei tesori sconosciuti che aspettano solo voi.
“È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.” Peppino Impastato
Buon viaggio
Charlotte