di SAMANTHA TARANTINO Nella vasta gamma dei turismi sperimentabili, quello archeologico rappresenta una risorsa economica. E Rossano, pur avendone le possibilità, non lo sfrutta per nulla. In effetti a Rossano si ignora, ad esempio, l’esistenza persino di una carta archeologica depositata negli uffici di competenza del palazzo comunale. Una mappatura dei siti, che a tutt’oggi risulta mai pubblicata. C’è un’epoca ancora tutta da indagare con tracce cancellate da poca sensibilità e da incuria. È il periodo preromano, tra il X e l’VIII secolo a.C. in cui la storia degli Enotri, la popolazione italica il cui nome deriva dal greco οίνος (oinos) vino, si fonde nel terreno fertile della pianeggiante Sibaritide. Non solo Bisanzio e non solo grande Sibari. E dispiacere trapela dalle parole di Tullio Masneri, esperto conoscitore della storia del territorio. «Il passato di comunità indigene giace dimenticato sulle colline rossanesi del centro storico. Seppellito a metri e metri di profondità, ignorato dai cittadini. Negli anni ’30 furono condotti dei saggi archeologici, che interessarono la zona di varìa S. Antonio. Questo terreno era di proprietà della famiglia de Rosis, poi concesso in donazione. Ciò che venne restituito, confermò che Rossano era Enotria e da allora in poi si iniziò a parlare di una facies archeologica che lega con un unico tracciato la Sibaritide all’Alto Jonio». Un continuum tra Rossano, Corigliano, Amendolara, Trebisacce sulle orme dei clan di tipo oligarchico - monarchico. «Il tesoro disseppellito di varìa S. Antonio era costituito da un corredo funerario. In quanti tra amministratori e cittadini sanno che armille, frammenti di rasoio, fibule a rotella, torques, suppellettili fittili ed anche una preziosa perla d’ambra siano conservati al Museo di Reggio Calabria?» Troppo tempo è trascorso e tonnellate di terra ricoprono la necropoli. E l’abitato? Continua con rammarico Masneri. «Purtroppo solo supposizioni su dove si trovi il villaggio. Ma un punto, tuttavia, si può individuare. Nella piazza antistante la dismessa caserma dei Vigili del Fuoco, lungo una sella che percorre il viale, lì prendeva vita l’agglomerato di capanne degli aristocratici. Un ampio terrazzo strategicamente utile per avvistare i nemici. La plebe, invece, abitava lungo il declivio della collina, così come lungo la collina filari di viti ed una rigogliosa agricoltura contraddistinguevano la ricca zona». E camminando lungo le strade del centro storico di Rossano, zona Santo Stefano, per intenderci sotto l’edificio del Tribunale, il cosiddetto Cozzo sorgeva proprio su un’altra necropoli enotria. Ma com’è possibile che di un’identità non rimanga più alcuna traccia? Non c’è mai stato un interesse archeologico continuato nel tempo. Solo negli anni 2004-2005 grazie alla sensibilità dell’allora assessore al turismo Alessandra Mazzei furono eseguite delle indagini a tappeto delle emergenze archeologiche in più punti della cittá alta. Ma poi tutto è caduto nel dimenticatoio e ad oggi dell’insediamento abitativo e delle necropoli degli Enotri non abbiamo piú neanche un frammento. Un’ altra opportunitá mancata. Prima che sia troppo tardi non lasciamo che altro tempo passi.