di MARTINA FORCINITI e LUCA LATELLA Mentre c’è chi sogna nuovi porti, quelli esistenti affondano. L’ennesimo viaggio-inchiesta de
L’Eco dello Jonio fra gli sperperi di denaro pubblico, questa volta ci spinge in mare, o meglio verso le infrastrutture esistenti e mal utilizzate (o gestite) che si affacciano sullo Jonio: il porto di Corigliano, quello di Cariati (un caso oggi positivo che approfondiremo nelle pagine successive) ed i Laghi di Sibari. Risorse che finiscono attratte dall’ormai buco nero, cronico e patologico, degli sprechi. E, di conseguenza, delle opportunità occupazionali perse.
COSTI. E non che siano pochi i 14 miliardi di vecchie lire stanziati nel 1967, l’equivalente secondo Istat di 138 milioni di euro odierni. Da questa cifra fino a raggiungere i 140 milioni di euro spesi fino ad oggi, il passo non è certamente breve, ma tanto è costato lo scalo portuale coriglianese. Oltre venti miliardi (equivarrebbero ad 80 milioni di oggi) provenienti da investimenti privati, invece, sono stati spesi solo per i bacini dei Laghi di Sibari, a cavallo fra gli anni 1978-1981. Risorse da sommare a quelle necessarie per le opere di urbanizzazione ed al mezzo miliardo di lire stanziato per il canale degli Stombi nel 1958 (10 milioni di oggi), in piena era di bonifica della Piana. A Cariati tra il 1986 e il 2009 i finanziamenti impegnati per l’area portuale ammontano a circa 42 milioni di euro. Nel computo complessivo, quindi, un totale di circa 440 milioni di euro – milione più, milione meno – per tre sbocchi sul mare. Con quali risultati? Corigliano esprime solo pochissime delle enormi potenzialità, Sibari è inutilizzabile se non per qualche settimana d’estate, Cariati sta sbocciando in questi ultimi anni. Erano tempi di vacche grasse e sprechi. Tempi in cui bastava poco per ottenere ingenti finanziamenti, un progetto e via. Un
modus operandi oggi impensabile.
OCCUPAZIONE. A completare il quadro, non sono affatto da sottovalutare le potenzialità occupazionali che potrebbero gravitare attorno ai porti. Da uno studio di Confindustria Nautica, è emerso che l’indotto (ricettività, rimessaggio, manutenzione, ricambistica ecc.) che ruota attorno al diportismo (per il momento non sviluppatosi solo a Corigliano) potrebbe produrre sette posti di lavoro per ogni barca. Se Cariati può ospitare 260 imbarcazioni ed i Laghi 2500, i conti sono presto fatti: fra i due porti potrebbero trovare un lavoro circa 20 mila persone!
CORIGLIANO. Nato come porto rifugio fra Crotone e Taranto, il porto di Corigliano si pensava potesse servire, negli anni ’70 come scalo petrolifero e per alimentare la centrale Enel attraverso un oleodotto, poi mai realizzato per una serrata levata di scudi delle popolazioni. I lavori, iniziati nel 1967, poi sospesi dal 1971, ripresero nel 1974 con un secondo progetto – quello attuale, ricavato dragando milioni di tonnellate di terra – che fu accelerato (insieme ai lavori per l’attuale tracciato del canale degli Stombi che doveva servire da rifugio per la pesca prima di collegare i laghi al mare), dopo l’immane tragedia del 31 dicembre 1974 nella quale persero la vita dodici pescatori di Schiavonea. Completati nel 1988, da allora, lo scalo coriglianese ha subito alcune modifiche tecniche ed anche economico-giuridiche, passando nella storia recente sotto la giurisdizione dell’Autorità portuale di Gioia Tauro. Nel 1994 il “Riordino della legislazione in materia portuale” ha classificato la struttura come appartenente alla II categoria, III classe, quindi di rilevanza economica regionale e interregionale con funzioni commerciale, industriale petrolifera, di servizio passeggeri, peschereccia, turistica e da diporto. Altro passaggio storicamente fondamentale si è verificato nel 2008 quando l’Ufficio Circondariale Marittimo è stato elevato a Capitaneria di Porto con competenze fra Cariati e Rocca Imperiale. Sin qui gli eventi. Ma in che stato versi dal punto di vista socio-economico è sotto gli occhi di tutti. Pur essendo assolutamente funzionante in tutte le sue componenti (dagli uffici della dogana, alla Capitaneria passando per la Tenenza della Guardia di Finanza, distaccamenti della Polizia di Stato, dei Vigili del Fuoco), a parte i circa 40 pescherecci di una delle flotte marinare più importanti del sud Italia, lo scalo portuale viene utilizzato per qualche attracco turistico delle navi da crociera Costa e poco altro. Da qualche mese la struttura rientra nello stato di emergenza derivante dallo sbarco di migranti. Le ambizioni, sulla carta, sono quelle di farlo diventare un vero e proprio “Portale sul Mediterraneo” con scopi commerciali. Quindi un punto di riferimento nell’export di merci, delle eccellenze agroalimentari prodotte nella Piana di Sibari e non solo. L’“Autostrada del mare” con rotta Corigliano-Catania sarebbe dovuta servire anche a questo scopo, nel 2010, oltre a snellire il traffico pesante sulla A3. Il risultato? Dopo un anno l’esperienza si è rivelata infruttuosa. Insomma, pur essendo il porto più grande del mar Jonio, dopo quello di Taranto, lo scalo di Corigliano non riesce a girare a regime sebbene ne abbia tutti i requisiti e le potenzialità. Senza industrie nella Piana viene a mancare l’obiettivo primario che era quello di porto a vocazione industriale. Con le carenze di collegamenti e infrastrutturali alle sue spalle (leggasi la statale 106), probabilmente, non è appetibile nemmeno per le grandi rotte commerciali e le grandi compagnie mercantili che si occupano di trasporto merci e logistica container.
SIBARI. Investimenti privati – un’enormità per quegli anni – non valorizzati dagli enti pubblici. In estrema sintesi, se dicessimo che i Laghi, dall’alto del primato come porto turistico più grande d’Europa con i suoi 2500 posti barca e 2200 appartamenti, rappresentano quanto di peggio la calabresità possa esprimere, non diremmo un’eresia. È vero, i laghi, quindi le acque interne sono private e tali rimangono. L’intoppo, nel vero senso della parola, sta nel canale degli Stombi. Realizzato dal Consorzio di Bonifica, quindi di proprietà della Regione, dalle Porte Vinciane al mare è lungo 450 metri e largo 40, ma da 15 anni a questa parte è dragato solo in qualche breve periodo d’estate. La sabbia che si accumula per via delle maree e della forza del Crati non dragata ha creato, recentemente, una vera e propria spiaggia. L’intoppo, ovviamente, impedisce alle imbarcazioni di entrare ed uscire. Nel 2007 la Regione attraverso una “leggina” ha delegato la competenza della pulizia dei canali alle Province e da allora sono iniziati i problemi. Perché con una spesa irrisoria – 70 mila euro annui rispetto alle immense potenzialità dello scalo – i problemi potrebbero risolversi. Anche in questo caso i risvolti socio-economici non si contano: è paradossale che un’area così invidiata da tutta Europa – e non sono pochi i proprietari stranieri che vi hanno acquistato casa – così grande ed importante, sia inutilizzabile, chissà, per risparmiare qualche decina di migliaia di euro in un qualche bilancio pubblico o, peggio, per incuria. Intollerabile se si pensa all’indotto economico che i laghi potrebbero produrre in termini di posti di lavoro, turismo e commercio. Di recente, però, la nuova governance della Casabianca Group, gestore dei laghi, sta tendando una inversione di tendenza, seppur la manutenzione di porti (anche privati) e canali siano di competenza regionale e provinciale.
RIMESSE. Se da una parte la gestione della cosa pubblica ha impantanato i management portuali, dall’altra ha certamente favorito la nascita di iniziative private. Come a Rossano, per esempio, dove due privati hanno colto l’occasione per sviluppare attività di rimessaggio con oltre un centinaio di posti barca disponibili e tutta una serie di attività correlate.
MAESTRO D’ASCIA. Quattro su 18, in Italia, gli unici sullo Jonio, operano a Cariati grazie alla grande tradizione marinara locale. Maestri d’ascia, un altro esempio di eccellente produttività privata sorta attorno ai porti, volani economici troppo facilmente dimenticati. Insomma, in tempi in cui si sognano, qua e là, porticcioli turistici da una vita – come a Rossano e Trebisacce – ed in cui non si fa altro che sottolineare quanto la Sibaritide sia carente dal punto di vista infrastrutturale, le uniche esistenti non funzionano o funzionano parzialmente grazie all’iniziativa privata: uno schiaffo alle possibilità di sviluppo dell’intera area che la classe dirigente non riesce a vedere.
POLICORO – Cinquanta miliardi delle vecchie lire investiti a fine anni ’90 per la costruzione di un porto che ha rivoluzionato la logistica del turismo lucano. Marina di Policoro, piccolo porto cresce. Nato come prolungamento di un villaggio turistico, oggi è una piattaforma marittima di alto livello. Settecentocinquanta posti barca, quasi 800 residenze sul mare per quello che, a tutti gli effetti, è un ecoresort affacciato sullo Jonio. Il modello è quello dei nostri Laghi di Sibari. Ma qui i lungimiranti investimenti privati lo hanno reso il fulcro dell’economia locale. «Perché è stata una scelta vincente? Essendo frutto di un’iniziativa esclusivamente privata – ha spiegato a
L’Eco dello Jonio il sindaco di Policoro Rocco Luigi Leone (
foto) – c’è tutto l’interesse a farlo funzionare».ù Che poi della ricaduta economica generata dall’indotto ne beneficia tutta la città. «Policoro è quasi al servizio del porto. Ne ha capito l’importanza e ai suoi piedi ha visto e contribuito a far nascere uno sviluppo economico e sociale da cui ci guadagnano un po’ tutti. È un turismo di fascia elevata, il cui valore è parso subito chiaro a chiunque». Classe politica inclusa. «Tutte le amministrazioni succedutesi alla guida della città hanno contribuito a favorire questo processo di crescita». E la posta in gioco, dopotutto, è molto alta. «La sfida da vincere è trasmettere all’ospite un’immagine della nostra terra che sia più che positiva. Ovviamente sulla scia di un’offerta turistica corposa e di qualità». Un traguardo ambizioso, non c’è che dire. Ma le premesse per tagliare il nastro ci sono tutte. «Stimolati dal grande afflusso dei turisti, vorremmo proporre un lungo percorso culturale che abbracci tutta la Magna Grecia. Come? Creando delle aule universitarie a cielo aperto che richiamino centinaia di studenti da tutto il globo. A cui far capire che proprio qui è nata l’Europa moderna».