La produzione olivicola calabrese può contare su 33 cultivar e una qualità d’eccellenza. A garantirne l’unicità, tre marchi a Denominazione d’origine protetta e l’Igp “Olio di Calabria”.
Conquistare fette di mercato facendo leva sulla qualità della produzione olivicola, su cultivar d’eccellenza e su processi di trasformazione trasparenti e garantiti. Fattori che la Calabria possiede ampiamente e che potrebbe giocarsi al meglio. Contando proprio sulle caratteristiche che la filiera produttiva dell’olio detiene da sempre. Basti considerare che la coltivazione delle olive nella regione risale al VIII sec. a.C. quando i primi coloni Achei si insediarono sulla fascia jonica calabrese nei territori compresi tra Kaulonia, Kroton e Sybaris. Contestualmente anche i Locresi greci sbarcarono Lokroi Epizephyrioi ed i Calcidesi a Rhegion. Senza considerare che gli scavi archeologici – condotti nell’area di Trebisacce, nel Cosentino – retrodaterebbe la presenza delle coltivazioni di olive in un’epoca ancor più remota: la fine del II millennio a.C. (in piena età del bronzo). Su questa millenaria tradizione si basa una qualità della produzione di olio extravergine d’oliva ampiamente differenziata grazie alla ricchezza delle cultivar: in Calabria se ne contano almeno 33 differenti per caratteristiche e zone di origine. Ognuna in grado di soddisfare non solo i palati più raffinati, ma di rispondere a specifiche esigenze di varia natura anche sotto il profilo di prevenzione di alcune malattie cardiovascolari molto diffuse come l’aterosclerosi e i tumori soprattutto al seno. In quest’ultimo senso gli studi condotti presso la Northwestern University da Javier Mendez sull’acido oleico, principale grasso dell’olio di oliva, hanno appurato che questo interagisce con il Trastuzumab (Herceptin), anticorpo monoclonale utilizzato nel trattamento del tumore della mammella. Quest’ultimo riuscirebbe a bloccare il recettore su cui agisce la proteina espressa dall’oncogene Her-2/neu. Inoltre sempre l’acido oleico – che ricordiamo è un grasso monoinsaturo (Mufa) – presente in alta percentuale nell’extravergine calabrese costituisce un rimedio naturale per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Un metodo “salvacuore” indotto, inoltre, dalla capacità antiossidante di molti componenti dell’olio extravergine (fitosteroli, flavonoidi e polifenoli, beta-carotene, vitamina-E). Da qui l’importanza di valorizzare al massimo le cultivar calabresi e i processi di trasformazione in olio extravergine d’eccellenza garantendone con disciplinari la produzione. La strada intrapresa da alcuni anni attraverso l’adozione di questi disciplinari e l’elezione di marchi garantiti costituisce senza dubbio un passaggio fondamentale per presentare al meglio sui mercati non solo nazionali una produzione come quella calabrese dai grandi numeri, ma soprattutto dall’altissima qualità. Attualmente la Calabria può contare su tre prodotti Dop (Lametia, Bruzio e Alto Crotonese) oltre all’Igp “Olio di Calabria”. Mentre il livello della produzione, nonostante la flessione dell’ultima campagna olearia (
ve l’abbiamo raccontata qui), resta decisamente importante visto che mediamente è la seconda regione del Paese per quantità: nelle ultime quattro campagne è stata pari a 171.675 tonnellate. In percentuale la Calabria rappresenta in media il 13,4% dell’intera produzione olearia italiana. Così sfruttando al meglio questa capacità produttiva, alzando l’asticella della qualità – magari con una migliore specializzazione dell’extravergine – e utilizzando le etichette calabresi che certificano la bontà della produzione si potrebbe spingere ancor più in alto il valore aggiunto della produzione con ricadute positive sull’occupazione e lo sviluppo economico della regione.
CULTIVAR E PRODOTTI CERTIFICATI
Il patrimonio olivicolo calabrese, come dicevamo, è vastissimo (in Calabria esistono germoplasmadi almeno 33 cultivar di olivo) che traggono le loro differenti caratteristiche anche per le zone di origine tanto da aver acquisito lo stesso toponimo. Giusto per farne esempi, esistono le cultivar Cassanese di Lauropoli, Cerchiara, Corniola di Villapiana, Grossa di Cassano, Grossa di Gerace, Mafra di Cerchiara, Melitana. Ma anche le cultivar Nostrana di Amendolara, Roggianella, Santomauro, Sinopolese, Squillaciota, Dolce di Rossano e Tonda di Strongoli. Tutti nomi, appunto, che riprendono le località d’elezione di queste coltivazioni. A farla da padrona però è la Carolea – conosciuta anche con i sinonimi Becco di Corvo, Borgese, Catanzarese, Cumignana e Olivona – che viene praticamente coltivata in tutta la Calabria, anche se è maggiormente presente nel Catanzarese (si stima che esistano coltivazioni valutate nell’ordine dei 50mila ettari). È questa cultivar a determinare praticamente l’olio extravergine a denominazione d’origine protetta “Lametia” – visto che per almeno il 90% ne costituisce questa varietà – e sia per il Dop “Alto Crotonese” (qui la varietà concorre per 70%). Ma questa cultivar è presente anche nella composizione varietale dell’extravergine Dop Bruzio-menzione geografica “Valle Crati” (50%) e nelle menzioni “Fascia Prepollinica”,”Colline Joniche Presilane” e “Sibaritide”, dove questa può essere presente al massimo per un 30%. Seguono per diffusione l’Ottobratica e la Sinopolese. L’estensione per entrambi è pari a 20mila ettari per ciascuna coltivazione. La prima – conosciuta anche con i nomi Dedarico, Dolce, Mirtoleo, Ottobratico, Perciasacchi – è diffusa principalmente nella Piana di Gioia Tauro, nell’area di Palmi e nel Vibonese. Ma si riscontra sporadicamente nel versante ionico reggino e come impollinatore nella piana di Lametia Terme. La seconda varietà invece è presente quasi esclusivamente nella provincia di Reggio Calabria e soprattutto sul versante tirrenico della Piana di Gioia Tauro-Palmi. La stessa estensione la si registra per la Dolce di Rossano (sinonimo: Dolce, Rossanese). Questa cultivar è presente in quasi tutta la provincia di Cosenza, con maggiore diffusione nel versante Jonico (da Rossano a Cirò). È determinante per la composizione dell’extravergine dop Bruzio-menzione geografica “Colline Joniche Presilane” (minimo 70%), nelle menzioni “Sibaritide” (massimo 30%) e “Valle Crati” (massimo 20%), nonché nella denominazione di origine protetta “Alto crotonese” dove la presenza massima consentita è del 30%.Scorrendo la graduatoria delle cultivar maggiormente presenti in Calabria ritroviamo Roggianella (con un’estensione di 10mila ettari) che partecipa – almeno il 50 % – alla denominazione di origine protetta “Bruzio”-Menzione geografica “Fascia Prepollinica”, e alla Menzione geografica “Valle Crati” e “Sibaritide (in misura non superiore al 30%). Segue la cultivar Grossa di Gerace presente esclusivamente sul versante jonico reggino da Monasterace a Brancaleone con la sua massima diffusione ovviamente a Gerace, ma anche a Locri. Complessivamente la sua coltivazione si aggira tra i 7mila e gli 8mila ettari. Quasi quanto la diffusione della cultivar Grossa di Cassano che copre complessivamente circa 7mila ettari soprattutto nella Sibaritide. Questa varietà è determinate per la preparazione del Dop Bruzio- menzione geografica “Sibaritide”, dove deve esse presente per almeno il 70% e nelle menzioni geografiche “Valle Crati” e “Fascia Prepollinica” (fino al 20%). Meno diffusa ma non per questo meno pregiata la cultivar Tonda di Strongoli conosciuta anche come Olivo di Pentone, Strongolese, Tonda di Filadelfia, Tonda di Filogaso. Questa varietà, presente soprattutto nella parte settentrionale del Crotonese, copre complessivamente una superficie di circa 4mila ettari. A questa cultivar deve anche il Dop Alto Crotonese, nella cui miscela è presente fino al 30%. Ma il valore aggiunto a queste produzioni è dato soprattutto dall’essere nel maggiore dei casi elemento fondamentale dei disciplinari di produzione dei tre Dop calabresi oltre che dell’Igp di Calabria. Una base imprescindibile per costruire il successo del Made in Calabria.