di SAMANTHA TARANTINO Longobucco e la sua miniera. L’
Argentera ha una storia che da 5mila anni ad oggi è testimone del tempo. Ha permesso ai Sibariti, ai Crotoniati ed ai Romani di estrarre argento per coniare le propri monete. In epoca Angioina i
mastri Argenteri di Longobucco erano noti in tutto il Meridione. Nel 1505 le miniere diventano le principali del Regno di Napoli. Un affascinante viaggio tra l’identità culturale di un fiero popolo legato alla sua terra, la natura selvaggia con le specie protette e un meridione che ancora una volta racconta della sua grandezza. Un’altra risorsa poco sfruttata alla quale si potrebbero legare delle forme di turismo speleologico accanto a quello naturalistico di colture tipiche come sambuco e rosa canina, meli e pere coltivati su terrazzi tradizionali recintati con muretti a secco. Qualche anno fa, dopo una serie di studi sullo stato geologico dell’intera zona era stata avanzata una proposta, di alcuni esperti sulla necessità di promozionare il sito formando, ad esempio, delle guide archeominerarie. Ampliare gli spazi intorno alla parte pianeggiante con aree didattiche e permettere un afflusso di un turismo specializzato per le visite al complesso minerario e magari continuare a proseguire gli studi oltre le due miniere esplorate. Contemporaneamente conoscere la cultura di tradizioni, quella economica e sociale di una cittadina e di una regione. Nel polmone verde della Sila Greca, immersa nel cuore del
Parco Nazionale della Sila, alle miniere di Longobucco si arriva costeggiando il fiume Manna tributario del grande bacino del
Trionto. Attraverso un sentiero principale percorrendo la "via delle miniere" si trovano due aperture artificiali: a destra del torrente quella più grande, mentre a valle la più piccola. Le due miniere presentano degli imbocchi e camminamenti in cui si possono notare le attività estrattive dei vari secoli di utilizzo. Ed in effetti, date le dimensioni modeste e la poca presenza di minerali occorrerebbe parlare più di saggi di scavo che di vere e proprie miniere (Atti del XX congresso Nazionale di Speleologia Iglesias 27-30 aprile 2007). L’ingresso alle due cavità è agevole (anche se al momento non si può accedervi), così come è possibile proseguire percorrendo i vuoti sotterranei (chiamati in gergo tecnico). In gruppi di 10 persone nella più grande, a gruppi di 5 in quella di ridotte dimensioni. Ed il sottosuolo con la sua microvegetazione, microrganismi e fauna specifica dei posti bui ed umidi ha una storia che è già da sola un patrimonio da salvaguardare e da far conoscere a chi ancora pensa ad un sud retrogrado e povero. Una storia mineraria della Calabria è nota da poco tempo. Quella che racconta di estrazioni e di economia. Eppure la Sila Greca, l’area della Fossiata e più nello specifico la zona di Longobucco sono storicamente legati all’attività estrattiva, connessi a fiumi e torrenti limitrofi. Citata nelle Variae di Cassiodoro del VI secolo, la Galena Argentifera (solfuro di piombo con tracce di argento) è stata la ricchezza del mediterraneo fino al XVII secolo. Ispirato da castagni ed ontani, Angelo Lipinsky, l’artista dei primi del novecento cultore e conoscitore dell’arte antica convince anche il peggior sordo “Come la fortuna di Atene era legata alle miniere del Laurion, quella di Sibari all’Argentera della Sila”.