DI JOSEF PLATAROTA È bene chiarire un concetto:
differenziare il desiderio dal bisogno. E questo territorio aveva proprio "bisogno" di scoprire sé stesso partendo dalle comunità e, da esse, recepire l’importanza del singolo. Le scene di domenica vanno in questa direzione. Non è stato un allunaggio e nemmeno un’apparizione Mariana:
il Frecciargento è un mezzo di trasporto normale in una delle nazioni con il più alto tasso di “benessere” al mondo. Come in un film, in una sceneggiatura a lieto fine, un fischio ha annunciato l’arrivo di un treno, mica di uno Shuttle. È bene respirare questa situazione,
perché ieri si è incisa la storia di un territorio di 200.000 abitanti.
La Storia o la scrivi o la subisci. Qui, in queste latitudini, abbiamo avuto il lusso di misurarci in entrambi i casi ma, negli ultimi 40 anni, il peso della bilancia ha spinto inevitabilmente verso la seconda opzione.
La Piana ha subito la mortificazione di essere colonia, di aver dovuto dire grazie - come domenica-
per l’elargizione dei diritti, di non vedere attuati articoli fondamentali della Costituzione, di vivere da cittadini di terza categoria. Oggi, questa terra, ha conosciuto una speranza, un riscatto. Ma da cosa?
Dalla Piana stessa. Il perpetuo fallimento del puntare il dito verso i politici e i complotti e non verso il proprio petto, la mentalità degli alibi, nel pressapochismo e nel non conoscere le radici. Le reazioni social sono la fotografia della situazione e della frustrazione, perché tutto questo ci è dovuto: libertà di spostamento, di sanità, di giustizia, di vita. Lo abbiamo dimenticato ma da domani ci penseremo di più quando dovrà essere difeso questo treno. Bisognerà proteggerlo e volergli bene perché ha rappresentato una sveglia suonata in una calda domenica di Settembre, a chiudere l’estate.
Il Nord-Est della Calabria ha sempre preferito le inaugurazioni e il taglio delle torte alla punta di fioretto della difesa capillare del territorio di fronte alle sistematiche spoliazioni. Non si è stati nemmeno capaci di preservalo da noi stessi. L’inverno per la Sibaritide, è legge delle stagioni, deve e può finire.
Il mondo fuori da questo territorio è troppo grande e non si è stati capaci a rimpicciolirlo. Tutto dista il doppio. Altro non si è che un’isola nel mezzo dell’oceano. E se questo lembo di Calabria sognasse qualcosa di diverso da quello che il destino gli ha assegnato? Se aspirasse a qualcosa di più grande? Le risposte, cercandole, saranno in quei viaggi da Sibari che sognano punti di arrivo e non di partenza.