Quel Natale che suonava al camino... ricordando Salvatore Romanello
Nelle notti di Vigilia, attorno a un fuoco acceso e a una fisarmonica, ha insegnato a generazioni di giovani che la musica è memoria viva e condivisione. Con la sua voce, i suoi stornelli e il suo cuore schivo ha custodito l’anima popolare di Rossano
CORIGLIANO-ROSSANO - La Vigilia di Natale, a Rossano, nel centro storico, è da sempre una promessa. Non un giorno sul calendario, ma un tempo sospeso in cui le strade della città alta si stringevano come per custodire un segreto: luci calde, porte socchiuse, profumi indistinti, voci che si rincorrevano e riti che si ripetevano uguali a se stessi, anno dopo anno. Era una magia concreta, fatta di presenze e di attese.
Nella mia memoria – allora adolescente, oggi adulto – scorre un’immagine precisa. Un camino acceso, il cerchio di amici, le storie e le retro-storie che prendevano forma tra una risata e un brindisi. Era l’inizio degli anni Duemila: i primi telefoni cellulari squillavano con suonerie polifoniche, come una colonna sonora ingenua di un tempo che stava cambiando. Ma al centro di quel cerchio c’era qualcosa di antico e necessario: la musica come legame, la parola come passaggio di testimone.
Tra noi c’era Salvatore Romanello. Per me – e non solo per me – è stato molto più di un professore di musica alle scuole medie; molto più di un docente di antropologia musicale al liceo classico, nel progetto Bisantium condiviso con i professori Franco Filareto e Francesco Pace. Era parte della mia famiglia allargata - per parte di mamma - che passava per affetti, relazioni, radici. Arrivava con la sua fisarmonica ORA, dell'omonima casa di Castelfidardo, prestigiosa, griffata, personalizzata: uno strumento pregiato come il suo sapere, custodito con cura e offerto senza risparmio.
Cantastorie, polistrumentista, tenore: il professore Romanello era, soprattutto, un amante della musica come forma di vita. Ma più ancora, era l’ultimo custode di una cultura popolare rossanese che non stava nei libri, bensì nei corpi e nelle voci. Stornelli, rittati, piccole poesie del gergo quotidiano: tutto viveva nel suo cuore e nella sua testa. E nei momenti di festa non vedeva l’ora di consegnare quel patrimonio ai giovani, senza cattedra, senza distanza, seduto accanto al fuoco.
Aveva scelto una vita in solitaria, per carattere e per libertà. Un orso, all’apparenza burbero; un cuore di burro, nella sostanza. Amava la compagnia degli amici più del calore esclusivo del focolare familiare. Stava bene dove circolavano parole, musica, memoria. Stava bene dove c’era comunità.
È così che il suo addio pesa di più. Proprio nei giorni di questo dicembre che separano la memoria dell’Immacolata da quella di Santa Lucia – ironia della sorte, due ricorrenze che lui stesso aveva consacrato in uno stornello – Salvatore se n’è andato in silenzio, lontano dalla sua Rossano. Senza clamore, come certi uomini che hanno dato tutto e non hanno mai chiesto nulla.
Ci mancherà Salvatore Romanello. Mancherà a una città che oggi, con la fusione e il nome di Corigliano-Rossano, è diventata più grande nella forza dei numeri e nella stratificazione delle memorie. E forse proprio per questo avverte ancora di più il vuoto lasciato da chi sapeva tenere insieme passato e presente, tradizione e futuro, senza nostalgia sterile ma con amore attivo.
In questa Vigilia di Natale 2025, mentre le luci tornano ad accendersi e i camini a scaldare le case, resta una certezza: finché qualcuno ricorderà uno stornello imparato per caso, una melodia suonata attorno al fuoco, una voce che invitava a cantare insieme, Salvatore Romanello non sarà davvero andato via. Sarà lì, dove la memoria smette di essere ricordo e torna a farsi comunità.