Una serata che ferisce e illumina: le voci delle donne palestinesi in scena alla Cittadella dei Ragazzi
Nel piccolo teatro, a Corigliano-Rossano, il dolore prende corpo in una serata intensa dedicata alle testimonianze delle donne palestinesi. Una lettera aperta alla memoria e alla coscienza collettiva, per non distogliere lo sguardo
CORIGLIANO-ROSSANO - Il Dolore è salito sul palco in una serata intensa e profondamente partecipata, nel piccolo teatro della Cittadella dei Ragazzi, il 25 novembre. Alcune esperienze possono essere narrate solo quando si ha il coraggio di attraversarle davvero: una lettera aperta alle donne, alla memoria e alla nostra coscienza smarrita.
Ci sono serate che restano incise, non perché offrano conforto, ma perché ci impongono di restare presenti, di non voltare la testa altrove.
Quella di oggi ha avuto proprio questo peso: un tempo sospeso, denso e vulnerabile, in cui le testimonianze delle donne palestinesi hanno trovato spazio nel nostro silenzio, obbligandoci a un ascolto totale, capace quasi di ferire.
Con la partecipazione dell’editore Giovanni Spedicati, per La Mongolfiera, e di Giovanni Soda, abbiamo dato corpo e voce alle storie raccolte da Umberto Romano nel suo libro, un’opera che con la sua tenacia narrativa continua a ricordarci che Gaza non può essere dimenticata, che l’orrore non deve trasformarsi in normalità.
A interpretare quel silenzio spezzato, Valentina Torrisi, Francesca Romano, Evelina Viola, Giusi Stasi, Maria Pia Mandia, Teresa Bua, Gianfranco De Luca, Margherita Federico e Tatiana Novello. Ognuno di loro ha fatto risuonare sulla propria pelle una parte della ferita che attraversa la Palestina da generazioni, dando voce a parole che non ci appartengono ma che, una volta ascoltate, non lasciano più scampo.
E quando la sofferenza sembrava sul punto di traboccare oltre le pareti della sala, il mandolino delicato di Pino Salerno ha raccolto quel dolore trasformandolo in un filo sonoro, accompagnato da qualche canto spontaneo del pubblico. Perché quello che le donne non dicono, talvolta lo affidano al canto, come un respiro che insiste a esistere.
Ci sono serate che parlano di donne, di violenza quotidiana, di diritti calpestati - e ancor più negati alle donne e alle bambine palestinesi, che crescono in un luogo dove la protezione è un privilegio, e l’infanzia un dono raro.
Ci sono serate che tengono viva la coscienza su Gaza e sull’orrore che Israele continua a infliggere, sostenuto da un mondo che troppo spesso sceglie di voltare le spalle.
Perché non esiste resistenza senza memoria, né giustizia senza solidarietà, né pace senza il coraggio di guardare in faccia ciò che ci atterrisce. L’indifferenza è diventata un’armatura, mentre la pietà sembra essersi dissolta.
E poi ci sono serate che aprono una fessura: la possibilità che l’ascolto, la cultura e la parola condivisa possano ancora sottrarci alla nostra stessa disumanizzazione.
«E le tue mura non ti proteggeranno dalla tua storia»
Con questi versi, tratti da una poesia anonima palestinese, Franco Ciró ha riportato al centro dell’attenzione un frammento di umanità che ha resistito all’indicibile. Un monito: alle persone a cui viene tolta la vita, troppo spesso viene sottratta anche l’identità. Ma nessun muro potrà cancellare ciò che sta avvenendo. La storia, prima o poi, presenterà il conto a ciascuno di noi, chiedendoci conto di ciò che abbiamo scelto di vedere - e di ciò che abbiamo scelto di ignorare.