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La vera minaccia del Parco archeologico di Sibari non è il Crati ma una falda sotterranea. «Abbiamo un piano per risolvere il problema»

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CORIGLIANO-ROSSANO – C’è un piano, anche abbastanza ardimentoso, che mira a far riemergere – è il termine esatto – l’antica Sibari dal pantano in cui ancora oggi è sommersa. È un piano coraggioso, maestoso e anche molto oneroso (servono più di 50 milioni di euro) ma che vale la pena tentare per salvare il sito archeologico dal logorio del tempo e del grave dissesto idrogeologico che insiste nella Piana, stretta in due particolari caratteristiche geomorfologiche: una altimetrica e l’altra idraulica.

La pianura di Sibari, infatti, per ampi tratti, ed in particolare nell’area del Parco Archeologico è stata soggetta a fenomeni di subsidenza, ossia un abbassamento dovuto sia a causa geologiche che antropiche, che ha portato la grande Sybaris al disotto del livello del mare (-3.5 mt) ossia -7 metri dall’attuale piano di campagna e, comunque soggetta storicamente ad inondazioni e a ristagni d’acqua (anticamente era un’area paludosa e lagunosa, piu’ volte bonificata). Non solo, il problema principale è quello di una falda acquifera sotterranea dello spessore medio di circa 25 metri nella quale sono “intrappolate” le tre stratificazioni archeologiche di Sybaris, Thurii e Copiae.

Ebbene, ambiente ed ecosistema di quest’area si intrecciano a filo doppio con la storia degli scavi di Sibari. E questo lo ha scoperto di recente l’ingegnere coriglianorossanese, Nilo Domanico, che è riuscito a rintracciare la vera causa dei continui allagamenti che dagli anni ’70 (da quando è partita l’attività di scavo a Sibari) e che fino ad oggi hanno tenuto sotto scacco l’area del Parco del Cavallo e di Casa Bianca.

«La vera causa degli allagamenti del parco archeologico di Sibari è appunto la falda acquifera sotterranea, che scorre a meno di 1 mt dall’attuale piano di campagna». A fornirci questo dato inedito e ad anticiparci in esclusiva le azioni che saranno intraprese nei prossimi mesi per porre un argine a quello che è il principale problema tecnico di fruizione e di ricerca all’interno dell’area storico-archeologica è il direttore del Museo e del parco di Sibari, Filippo Demma (in foto).

Una lunga chiacchierata nel contesto della due giorni di studio dedicata al Patire (ne abbiamo parlato qui) che andrà in onda oggi pomeriggio (martedì 31 maggio) alle 18.30 sui canali social dell’Eco dello Jonio, e che non poteva tralasciare attenzioni su un altro (forse il più importante) dei patrimoni della cultura magnogreca nella Calabria meridionale: Sibari.

Direttore Demma, la sua guida ha radicalmente cambiato le aspettative attorno al parco archeologico e al museo di Sibari. È cambiato tutto. Ma rimangono ancora alcuni ancestrali problemi che non consentono la piena fruizione dell’area. Perché?

«Negli ultimi mesi il parco è stato per larga parte poco fruibile, perché - per il sovraccarico - si sono rotti alcuni dei well-points che tengono all’asciutto l’area archeologica e abbiamo tentato di ripararli scoprendo che le pompe sono quelle degli anni ’70, istallate quando il parco è stato reso visitabile e non sono mai state cambiate. Immagini quanto abbiamo speso negli ultimi 40-50 anni per manutenzioni ordinarie e straordinarie! Abbiamo tentato di ripararle per evitare disagi al nostro pubblico, ma ci siamo resi conto che dovevano essere cambiate e le abbiamo comprate nuove. Nel frattempo è scoppiata la guerra Russia-Ucraina, per cui soprattutto l’industria pesante ha subito una serie di ritardi. Per fortuna i macchinari sono arrivati e sono stati installati e il parco è totalmente all’asciutto e per la prima volta anche alcune aree come quella di Casa Bianca, visitata pochissimo perché quasi mai aperta al pubblico, sono finalmente all’asciutto e questo ci toglie un peso dal cuore».

Il fango e l’acqua, però, sembrano continuare ad essere i nemici giurati di questo angolo di terra sin dai tempi della vittoria di Kroton su Sybaris. C’è qualcosa che può aiutarci a “cambiare la storia”?

«Nilo Domanico è stato messo sotto contratto e ha creato un masterplan per la soluzione definitiva del problema. Nilo è andato alla ricerca ed ha ristudiato una serie di carte e analisi geomorfologiche ed idrogeologiche ,  che gli hanno consentito di comprendere da dove arriva l’acqua che alimenta la falda e dunque invece di scavare trincee drenanti all’interno degli scavi, metodo che non funziona in quanto si era già sperimentato, si è creato tutto un piano per costruire, nella Fase 1 una rete drenante che intercetterà la parte più superficiale di questo “fiume sotterraneo” che contribuirà ad abbassare il livello attuale della falda. Nilo ha scoperto questi dati ed ha progettato una serie di trincee che interrompono il flusso più superficiale, deviandolo nel canale degli Stombi. Infine nella Fase 2, partendo da una quota di falda più bassa saranno realizzati dei diaframmi impermeabili che raggiungeranno lo strato argilloso in profondità, praticamente impermeabile “sigillando tridimensionalmente” le aree archeologiche e dunque mettendo in sicurezza ed all’asciutto gli scavi attuali (Copiae e Thurii), andare alla ricerca dei resti archeologici della grande Sybaris ed aprire nuovi fronti di scavo di quella che fu la più grande colonia della Magna Grecia, in gran parte ancora da disvelare. Al momento questa master plan (che è estremamente oneroso: quasi 55 milioni di euro), che presenteremo alla stampa entro l’estate, ha già dato un primo frutto che ci consentirà di tenere all’asciutto l’area di Parco del Cavallo abbassando la falda a livello zero. La falda in realtà se non fosse tenuta sotto controllo dalle opere di drenaggio sarebbe a +2 sul livello 0 della strada antica. Quindi gli scavi sarebbero completamente sommersi».

Una volta terminato questo progetto potranno continuare allora anche le attività di scavo?

«Il progetto vale secondo un calcolo approssimativo per almeno 50 anni, per cui ci sarà una stagione in cui col parco progetti noi andremo questuando questi fondi e ci vorrà poi un po' di tempo per realizzarlo. Naturalmente si potrà scavare ma già adesso noi abbiamo acquistato una serie di idrovore e due le abbiamo messe da parte così da poterle utilizzare per allargare gli scavi in alcune sezioni e per fare indagini di approfondimento che ci serviranno per il master plan. Adesso, però, abbiamo un parco tecnologico che ci permette di fare una serie di interventi da subito. Ad esempio andremo a ricontrollare i livelli arcaici da cui sono venute fuori quelle belle terracotte dalle quali è stato ricostruito il tetto triangolare che vedete adesso nel corridoio del museo di Sibari. Una parte di quell’edificio è ancora là sotto. Insomma, dovremmo controllare una serie di cose, andremo a riaprire li con l’aiuto di queste nuove tecnologie. Ci saranno novità anche su questo nel prossimo futuro».

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.