di FABIO BUONOFIGLIO Che la società sia suddivisa in classi è la verità delle verità storiche. L’assunto è stato poi scientemente e scientificamente analizzato e spiegato dal filosofo Karl Marx a metà Ottocento. Un assunto mai scalfito da alcun tipo di forma di stato o di governo, assolute, liberali, democratiche, monarchiche, repubblicane o dittatoriali. Allora, veniamo al “dunque”. Già, perché gli argomenti odierni sono le classi e le...classi. Quest’ultime sono quelle scolastiche, d’ogni ordine e grado. L’
anno scolastico in riva allo Jonio è cominciato appena da una settimana – eccezion fatta per gli scolari di Rossano che tra i banchi vi ritorneranno lunedì prossimo – e le cronache del primo giorno non sono per nulla edificanti a queste latitudini. È consuetudine consolidata, ormai, che sindaci ed assessori nostrani alla vigilia trasmettano il solito trito, ritrito e ingiallito messaggio augurale fotocopia. Coi soliti triti e ritriti paroloni, tutti ad atteggiarsi a ministri dell’istruzione o a presidenti di questa repubblica delle banane. Una repubblica ipocrita ed una democrazia dell’uguaglianza (?!) che lo è ancor più se si dà un attento sguardo ai social network non appena balza ai disonori della rete la verità delle verità storiche. Sì, perché la formazione delle classi scolastiche è coerente fino al midollo con la società divisa in classi. Con decine e decine di “spostamenti” nelle classi prime proprio nel primo giorno di scuola. Con figli di noti professionisti o imprenditori che finiti per meri errori materiali nelle classi di prevalente estrazione operaia vengono subito trasferiti coi loro simili su ordine dei dirigenti scolastici. Che il primo giorno di scuola dirigono esclusivamente tale traffico sociale. Ancor più ipocrite e bugiarde fino all’inverosimile le motivazioni addotte per giustificare gli spostamenti: «Si parla molto bene del professore di matematica, dicono che ha un ottimo metodo d’insegnamento e mio figlio ha delle lacune da recuperare...», «Lì c’erano troppi maschietti e molto esuberanti, mia figlia è molto timida, gioca ancora con le bambole...», fino alla mezza verità del «Non voleva assolutamente staccarsi da Michele, sono insieme dalle materne...». Infatti! Ogni anno e in ogni istituto scolastico è sempre (stato) così. Una pratica sociologica che negli ultimi anni s’è fortemente accentuata, proporzionalmente al forte e prepotente avanzare d’una crisi economica che stringe e costringe gli strati sociali poveri ad una sempre maggiore povertà, mentre dall’altra parte del loro mondo accade esattamente l’inverso. Basta andare sulle migliaia di profili Facebook locali per capire cosa sia accaduto il primo giorno di scuola, a
Corigliano Calabro per esempio. E che si tratti di mamme e di papà dell’
Istituto comprensivo “Erodoto da Thurii”, del
Liceo scientifico “Fortunato Bruno” o del
Classico “Giovanni Colosimo”, oppure del
tecnico commerciale “Luigi Palma” o del
professionale “Nicholas Green” o ancora dell
’istituto comprensivo “Antonio Toscano”, poco importa. Ce l’ha raccontato chiaro chiaro e tondo tondo il genitore
Alfonso Pietro Caravetta, di professione artista e piuttosto noto in città per il proprio impegno politico e sociale. Caravetta ha descritto l’esperienza del primo giorno di scuola di suo figlio, frequentante la prima media, e dal suo racconto su Facebook è emersa l’onda d’urto della verità delle verità storiche, con prepotenza. Ma non con la stessa prepotenza di chi, il primo giorno di scuola, ha chiesto e immediatamente ottenuto che il proprio figlio venisse spostato in quella classe e in quel banco, il banco del figlio di Caravetta: «Quello di lunedì è stato un primo giorno di scuola all’insegna d’un feudale servilismo – commenta il genitore – perché dopo avere formato le classi e durante le lezioni del primo giorno di scuola, un importante assessore comunale ha potuto scegliere la nuova collocazione di suo figlio: purtroppo o per fortuna è accaduto a me, ed ora sono pronto a cominciare un’altra, una delle tante battaglie di civiltà per amore e nel nome d’una ricercata giustizia sociale».