di LENIN MONTESANTO L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi. Nonostante non siano, la lettura, la cultura e la formazione permanente gli
hobbies preferiti di tutti i politici e dei rappresentanti istituzionali di questo territorio, a molti di loro risulterà più che noto quel celebre aforisma di Oscar Wilde. Quanto meno perché dimostrano, nella loro vita pubblica, di saper evitarne accuratamente ogni traduzione in concreto. Così come tutte le frequenti parentesi elettorali ormai confermano. Aumenta, infatti, esponenzialmente la tentazione, in tanti, forse in troppi, a farsi indirettamente accreditare come candidati sicuri o largamente condivisi. Salvo poi evitare, fino all’ultimo, di cedere a quello che, in una democrazia matura e consolidata (ma è forse questo il vero Purgatorio nazional-popolare!), dovrebbe essere un ingranaggio trasparente e rodato: 1) mi considero disponibile e pronto (per una serie di valutazioni personali e collettive) e 2) mi candido a rappresentare gli interessi di cui sono già di fatto interprete (altrimenti non mi candiderei!). Mi viene in mente un efficace spot dell’efficientissimo trasporto pubblico locale francese, simpatica variante dell’
ergo sum cartesiano:
je monte, je valide (salgo e timbro!). Da noi si sale, ma non timbra nessuno. E non soltanto su metro e bus, come capita spesso ai calabresi in trasferta.
Da noi si sale e ci si lascia candidare (senza smentire), ma nessuno lo fa poi veramente con l’anticipo necessario ed utile, per qualsiasi elettorato, a confrontarsi nel merito di proposte e visioni. Macché! Quanto sta accadendo a Rossano è sotto gli occhi di tutti. La campagna elettorale è di fatto aperta da mesi. I nomi dei candidati (da chiunque) circolano ovunque.
Nessuno però si è candidato ufficialmente, se non forse, nel centro destra,
Ernesto Rapani; anche se allo stato sembra più una aperta quanto determinata disponibilità personale che non la presentazione di una coalizione (ciò che servirebbe per arrivare al ballottaggio) a sostegno della sua candidatura a sindaco. Il caso più curioso è forse quello del sindaco in carica. Siamo nella stessa famiglia del centro destra.
A candidare Giuseppe Antoniotti, di fatto, è stato un corsivo de L’Eco dello Jonio, a gennaio scorso. Da allora abbiamo assistito, da parte di quest’ultimo, ad un intensificarsi di prese di posizioni più o meno convincenti circa le sue intenzioni. Fino all’ultima conferenza stampa dei giorni scorsi sul bilancio, nella quale il primo cittadino si è autodefinito (avrebbe potuto farlo la sua maggioranza!) il solo rappresentante del centro destra in questo momento in città. Posizione forte, chiara ed anche coerente con l’esperienza amministrativa in corso. Ma zoppa fino alla fine. Perché anche Antoniotti, per quanto rafforzatosi negli ultimi 5 mesi come mai nei precedenti anni del suo mandato, sale (di fatto era già a bordo) ma non timbra.
Cioè lo fa capire, ma non si candida ufficialmente. Non cede alla tentazione che pure dimostra di avere. Forse perché in politica il principio della coerenza è valore assoluto esattamente come quello del libero arbitrio nel diritto canonico? E se non cede Antoniotti, che a breve sarà sindaco uscente del centro destra, come si potrebbe pretendere che siano altri a farlo, ad un anno esatto dal voto amministrativo? Tanto più sul versante balcanico del Pd e del centro sinistra rossanesi. Qui addirittura si aspetterà che non vi sia più acqua nella pentola sul fuoco. E dello spezzatino attuale non resterà neppure il grasso eventuale. Da una parte,
l’unico probabile nome di candidato realmente forte, seppur sistematicamente smentito dal diretto interessato e per di più osteggiato paradossalmente proprio dagli inani aspiranti opliti del Pd,
resta quello dell’ex sindaco Tonino Caracciolo. Dall’altra, si susseguono e si susseguiranno dietro le quinte, fino allo spirare dei termini per la presentazione delle liste, le interminabili, fumose e penose riunioni di gruppi e clan, tanto chiassosi ed inconsistenti quanto isolati nella città e perfino presso le segreterie provinciali e regionali di cui si professano luogotenenze locali. La reazione, della quale già oggi si ha sentore, non potrà che essere l’aumento della sfiducia dell’elettorato nelle classi dirigenti. Di ambo gli schieramenti. Sostanzialmente incapaci – è, questo, il sentimento diffuso – di dimostrare la necessaria chiarezza, soprattutto rispetto alle grandi questioni aperte, a Rossano e nel territorio; delle quali però non si parla, né si parlerà. Fino al voto. Le polemiche degli ultimi giorni, scatenatesi all’interno di quella che fu la famiglia dello storico centro destra rossanese, è solo la punta dell’iceberg. I cittadini vorrebbero sapere quali sono le diverse visioni di governo locale che, nei prossimi anni, dovrebbero distinguere, ad esempio, un esecutivo Antoniotti-Caputo bis da un esperimento Rapani. Qual è la diversa ricetta di entrambi per creare nuove occasioni di crescita durevole, alla luce della continua riduzione di risorse statali; oppure per far ritrovare a Rossano un nuovo ed atteso ruolo guida in un territorio mutato per ruoli e risorse? Non è dato saperlo.
E si parla d’altro. Forse di ciò che interessa poco. Con il rischio di allontanare ancor di più i cittadini dalla politica e dalle elezioni. E con il partito della scheda bianca o dell’astensionismo sempre più vero ago della bilancia di una democrazia in corto circuito.