Una mattinata in pronto soccorso al "Giannettasio": l'incubo assoluto di personale e malati
Pochi medici e infermieri. «C'è un mare di Covid» che però non segue alcun protocollo (mancano addirittura le mascherine) mentre l'unico medico è costretto a fare pure i prelievi del sangue

CORIGLIANO-ROSSANO - Stamattina siamo ritornati nel pronto soccorso "Giannettasio" di Corigliano-Rossano, e la scena che ci si è presentata davanti era alquanto raccapricciante, sfiorando l'incredibile. Nulla di straordinario nel regno dove da sempre regna il caos e la disorganizzazione violenta. Ovunque posiamo lo sguardo, percepiamo la tensione, amplificata dal suono incessante degli allarmi e dalle voci che si intersecano, creando un sottofondo di continua agitazione. Mancano medici e gli infermieri sono carenti. Ci dicono – ma lo sappiamo già – che non è una casualità.
Appena oltrepassata l'entrata, l'odore pungente di disinfettante si mescola con quello della sofferenza, mentre i corridoi sono gremiti di persone in attesa di essere visitate. Non c'è un attimo di tregua per l'unico medico di turno, che vediamo correre da un paziente all'altro. Lo osserviamo con stupore mentre esegue prelievi di sangue, un compito che solitamente svolgono gli infermieri, ma la carenza di personale lo obbliga a farlo distogliendo l’attenzione – per forza di cose – da altre impellenze.
Durante il nostro giro, apprendiamo che lo stesso medico era stato chiamato poco prima per lasciare la postazione e accompagnare un infartuato presso la elisuperficie di Corigliano, poiché quella di Rossano è temporaneamente fuori uso per le fasi di ammodernamento che (finalmente) porteranno questo territorio ad avere la prima piattaforma aerea adibita ai voli notturni. Ogni secondo è cruciale in questa situazione, dove il materiale umano sembra tragicamente inadeguato. Non ci sono nemmeno i medici Cubani. Molti di loro sono rientrati in patria per il periodo di ferie.
Ogni angolo del reparto presenta nuove sfide. Una su tutte, la solita e persistente ondata di Covid. «C’è un mare di Covid» è l'espressione che sentiamo ripetuta man mano che ci addentriamo tra i pazienti, molti dei quali mostrano i segni tipici dell’influenza e altri ancora hanno la polmonite. Ora, in assenza di una logistica ospedaliera efficace per l’isolamento, questi pazienti si trovano tutti qui, gli uni accanto agli altri. Una sala OBI si è rapidamente trasformata in un reparto di pneumologia improvvisato quando un tempo – quando ancora il Covid non esisteva – le polmoniti, anche serie, venivano curate a casa. Tranne, ovviamente, i casi estremi.
Ciò che ci colpisce ulteriormente, però, è scoprire che molti degli infermieri non dispongono dei necessari dispositivi di protezione individuale. Mascherine e guanti, essenziali per trattare i pazienti Covid, sono diventati presidi tristemente rari. Continuano a prendersi cura dei malati nei modi tradizionali, quasi ignorando (per forza di cose) le direttive protocollari, in un clima di angosciante rassegnazione.
Osserviamo un'anziana signora, con la mascherina che scivola continuamente, seduta pazientemente in un angolo, e la realtà di questo ferragosto ci colpisce con forza: il pronto soccorso di "Giannettasio" continua a essere, anno dopo anno, il riflesso di un sistema sanitario al limite del collasso. Qui, ogni giorno è una battaglia con poche risorse, molti volti stanchi, e un’unica certezza: la dedizione di chi, nonostante tutto, cerca di fare la differenza.