La Basilicata (e non solo) ha fatto i soldi con la chiusura dell'ospedale di Trebisacce
I dati di Agenas sulla migrazione sanitaria di prossimità sono angoscianti: la Calabria spende 8 milioni di euro l'anno per foraggiare la sanità delle regioni limitrofe. Che non è eccellente ma almeno riesce a fare una radiografia in tempi normali
CORIGLIANO-ROSSANO – Non c’è solo una Calabria che scappa in altre regioni italiane per curarsi creando una spesa annuale di quasi 200 milioni di euro; in questo contesto c’è anche una fuga di prossimità che fa ancora più paura e preoccupa perché figlia di scelte cervellotiche del passato. La sanità, alle latitudini calabre – si sa – è un concetto del tutto astratto. Basti pensare che per ridurre la spesa del debito sanitario, 12 anni fa, si scelse la strada più semplice di tagliare i “rami secchi” (gli ospedali periferici) senza pensare che quella scelta avrebbe prodotto lo sconquasso totale, soprattutto senza il supporto di una medicina territoriale degna di questo nome. E già, perché, mentre la Calabria si depotenziava, a sfregarsi le mani c’erano le regioni limitrofe, pronte ad accogliere quell’esodo di malati emigranti che si rivolgevano (e continuano a rivolgersi) “oltre confine” anche per prestazioni sanitarie minime.
Ed è proprio l’emigrazione sanitaria di prossimità quella che fa rabbia. Perché si sarebbe potuta evitare, invece di pagare ogni anno quasi 8 milioni di euro l’anno di prestazioni a Sicilia, Basilicata, Puglia e Campania.
I dati pubblicati dall'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas) (relativi all’annualità 2022) sono angoscianti. Appena oltre i confini calabresi ogni anno, ad esempio, risultano esserci quasi 1.500 prestazioni diagnostiche per radiologia tradizionale. Per intenderci, un cittadino dell’Alto Jonio che un tempo si rivolgeva all’ospedale di Trebisacce per farsi una radiografia, oggi va a Policoro! E tutto questo ha un costo e questo costo incide profondamente sulle tasche dei calabresi. Per la sola diagnostica, la nostra regione ha versato nelle tasche della Basilicata ben 160mila euro nel solo 2022.
Un altro dato raccapricciante riguarda le cure terapeutiche, come la dialisi, la radioterapia, la chemioterapia, la chirurgia ambulatoriale, le trasfusioni. Cure, queste, che in un paese civile ogni malato dovrebbe avere la possibilità di fare sotto casa. Non in Calabria dove, invece, si muovono oltre confine, ogni giorno, quasi 3mila persone.
E, infine, ci sono le visite specialistiche: 8mila nel 2022 fatte tra Basilicata, Campania e Sicilia, con la fetta maggiore assorbita proprio dalla Lucania.
Non solo, dalle tabelle di numeri e statistiche emergono anche altri dati, quelli relativi ai ricoveri a rischio inappropriatezza, quelli che – per intenderci – si fanno ma potrebbero essere evitati. Ecco, qui c’è un altro numero che dovrebbe indurre quantomeno una riflessione: la Calabria spende quasi mezzo milione di euro l’anno a favore della Regione Basilicata, proprio per queste prestazioni.
Ora, se è vero che la mobilità sanitaria regionale di prossimità vale ogni anno circa 8 milioni di euro, moltiplicando questa cifra per 12 (gli anni di chiusura degli ospedali periferici calabresi) esce fuori un numero importante: 98milioni di euro. Quante prestazioni avrebbero potuto erogare se avessero avuto in pancia questa cifra i due ospedali soppressi di Trebisacce e Praia a Mare? Del resto, chi si muove verso Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia non lo fa per trovare prestazioni eccezionali o all’avanguardia (in alcuni casi la sanità di queste regioni è più disastrata di quella calabrese) ma solo per trovare una risposta a esigenze sanitarie che per diritto dovrebbero essere garantite, equamente, a tutti i cittadini