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La Sibaritide non è mai stata Ruhr e dopo 60 anni cerca ancora la sua identità

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CORIGLIANO-ROSSANO - Il progetto di trasformare la piana di Sibari in un grande calderone nel quale mettere alla rinfusa impianti chimici e alberghi, scavi archeologici e porti per grandi petroliere, centrali elettriche e agrumeti nacque nel 1961. Nel giro di due anni avrebbe dovuto creare 20 mila nuovi posti di lavoro. Emilio Colombo, allora Ministro dell’Industria, suggerì al comitato dei ministeri per il Mezzogiorno di costruire il nucleo industriale della Piana di Sibari a valle del Crati. Giacomo Mancini disse che un simile agglomerato industriale avrebbe avuto bisogno di un porto. Poi venne presentato il progetto per una centrale elettrica e un impianto della Liquigas. A Sibari protestarono in molti: il consorzio di bonifica, l’opera Sila, gli agricoltor. Il fronte dei “no” si allargò, ma Colombo e Mancini trovarono validi alleati in Calabria: Dario Antoniozzi, allora sottosegretario all’Agricoltura e oggi ministro dei Beni Cultural; il senatore democristiano Francesco Smurra; i socialisti Salvatore Frasca e Gino Bloise. Passarono sette anni di scontri politici e il fronte del “sì” all’industrializzazione senza piani precisi si allargava. Arrivarono anche Riccardo Misasi, Paolo Emilio Taviani che era ministro per il Mezzogiorno, Francesco Principe allora sottosegretario alle Partecipazioni Statali. In tre mesi, dal febbraio all’aprile 1969, fu scatenata l’offensiva decisiva. Facendo balenare la possibilità di creare nella piana di Sibari una nuova Ruhr, vennero incitati i sindacati alla rivolta, minacciata la sollevazione dell’intera Sibaritide e così via. Alla fine l’ebbero vinta. Il comitato dei ministri per il Mezzogiorno decise di approvare l’installazione della centrale Enel e dell’impianto Liquigas con uno spostamento di cinque chilometri a sud. Trasformò poi il nucleo industriale in area di sviluppo industriale e confermò il progetto della costruzione del porto. Furono tutti d’accordo i ministri del comitato: Paolo Emilio Taviani, Giacomo Mancini, Lorenzo Natali, Mario Ferrari Aggradi, Luigi Preti. Espresse il proprio “si” anche il presidente del consiglio Mariano Rumor. Così la cassa del Mezzogiorno fu incaricata di spendere molti miliardi per costruire improbabili industrie per procedere a sicura distruzione di migliaia di ettari di terreno coltivato. Oggi il grande progetto della Ruhr nella piana di Sibari è uno sfacelo. Il turismo è stato trascurato, l’agricoltura è stata penalizzata, l’occupazione è diminuita. È stata costruita la centrale a Rossano ed è in costruzione il porto sul litorale di Schiavonea. La Liquigas non si è fatta nemmeno vedere. È finita in una farsa l’operazione Egam annunciata a suo tempo da Mario Einaudi, già coinvolto nel pasticcio della Fassio. Al posto dei 20 mila nuovi posti di lavoro, ci sono 320 dipendenti della centrale, di cui la metà è arrivata da fuori. Ma il fallimento del progetto industriale ha punito severamente alcuni protagonisti della battaglia della Ruhr.

Questo è lo stralcio di un fondo di Mario La Ferla pubblicato su L’Espresso dell’8 Luglio 1979. Sembra scritto stamattina. Eppure sono trascorsi 44 anni. In realtà, a legger bene, ne sono passati 62 di anni. Cosa è cambiato in tutto questo tempo? Quali sono stati i passi avanti che la “nostra” politica ma anche – e perché no – la nostra società civile, ha prodotto da quella lontana e così vicinissima Riforma Colombo, per mettere in moto l’economia di questo territorio? Qual è stato il processo di transizione verso forme di sviluppo sostenibili e compatibili con la vocazione del territorio? Una volta aver detto no al processo di industrializzazione cosa è stato fatto in questo territorio per sviluppare agricoltura e turismo?

Nulla. Non è stato fatto nulla! Assolutamente nulla. Tre generazioni si sono piante addosso senza ottenere alcun risultato. La grande industria, Enel ha rastrellato tutto quello che c’era da rastrellare andando via senza dire nemmeno “ciao” e senza che nessuno avesse la capacità (o la volontà) di fermarla sulla porta e dirgli “Oh, ma chi sta facenn?!”. Il sogno del porto come “volano” di sviluppo è soffocato nelle sue stesse darsene e ancora oggi è in cerca di identità. I nostri agrumi, che sono i più buoni di Calabria e del Meridione, piangono ancora sugli alberi in attesa ogni anno del miglior acquirente che – comunque - metterà sul piatto mai più di un quarto di quanto realmente valgono. Il turismo… beh, il turismo è la questione quanto più meschina e vergognosa che possa essere mai stata gestita nel triangolo di terra che si chiude tra Sibari, Corigliano e Rossano.

L’unica cosa buona che siamo riusciti a fare in questo mezzo secolo che ci siamo lasciati alle spalle è stata la grande fusione di Corigliano e Rossano. Un processo grande e lungimirante, una rivoluzione culturale così importante che probabilmente è troppo per un popolo che, di fatto, è stato così abituato a rimanere ripiegato su stesso che ha perso di vista ogni orizzonte. Qui non siamo più capaci di osare, non siamo più capaci di costruire e di vedere oltre. Siamo la terra del no, perché non sappiamo e non vogliamo combattere, non sappiamo rivendicare i nostri diritti e arriviamo sempre, maledettamente, in ritardo.

Ieri come oggi ma – speriamo – non come domani!    

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.