Strage dei migranti, la risposta alle domande semplici... quelle della gente
Abbiamo analizzato la questione dei flussi e delle rotte, delle difficoltà che incontrano i migranti quando decidono di intraprendere questo tipo di viaggio, del ruolo delle Ong e delle prospettive di politica nazionale e internazionale
CORIGLIANO-ROSSANO – Dopo la drammatica vicenda del naufragio di Cutro, in cui hanno perso la vita circa 80 persone, svariate sono state le reazioni della politica e dell’opinione pubblica.
Maurizio Alfano, pedagogista e operatore sociale, ospite lo scorso martedì all’Eco in Diretta, ci ha aiutato a rispondere ai tanti quesiti che animano il dibattito politico e pubblico, ma soprattutto a dare risposta alle domande semplici: quelle che si pone la gente. Abbiamo cercato di analizzare la questione dei flussi e delle rotte (che cambiano continuamente a causa degli stravolgimenti geopolitici e delle calamità naturali), delle difficoltà che incontrano i migranti quando decidono di intraprendere questo tipo di viaggio (che poi è il solo possibile), del ruolo delle Ong e delle prospettive politiche nazionali e internazionali.
La questione più urgente da chiarire, sul perché siano giunti sulle nostre coste, è la seguente: la geografia delle migrazioni sta cambiando, se un tempo la maggior parte dei flussi migratori proveniva dal Mediterraneo (Libia e Tunisia) adesso proviene dalla Turchia.
«La Turchia – afferma Alfano – fino a poche settimane fa è stato “il carcere” dell’Unione Europea. Il governo turco è stato pagato dall’Europa per contenere i flussi migratori di Asia e Medioriente. Di recente, però, il paese è stato colpito da un forte terremoto e questo ha fatto sì che l’intero impianto di contenimento crollasse. Centinaia di migliaia di famiglie sfollate in Turchia e Siria hanno reso ormai impossibile la sopravvivenza di questi campi di confinamento-concentramento di migranti. Da qui la nascita di questa nuova rotta».
Una rotta che però non è terrestre. Molti stati balcanici e dell’est Europa rendono impossibile il superamento dei confini. Lungo le frontiere chilometri di filo spinato e recinzioni elettrificate di respingimento diventano il deterrente per i migranti in fuga dai paesi d’origine e, allora, ecco che entra in gioco il mare.
Il Mediterraneo conta ormai centinaia di morti e la retorica di questi anni, volta al respingimento e ad una narrazione distorta sugli ingressi dei richiedenti asilo, ha reso l’episodio di Cutro ancora più inaccettabile.
Il decreto contro le Ong, che introduce una stretta sull’attività di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo, non fa che mettere ulteriormente in pericolo i naufraghi. Spesso alle organizzazioni che prestano soccorso in mare, vengono assegnati porti lontani dalla zona di salvataggio, rendendo così più lunghi e faticosi i viaggi di approdo e i rientri nell’area di soccorso. Di fatto ne viene ostacolato l’intervento. È facile intuire lo stratagemma, l’antifona è chiara: non può passare il messaggio che chi parte si salva, altrimenti si incentivano gli ingressi. Ma il famoso “pull factor”, come si è visto, non ha alcun fondamento: la gente disperata continua a partire e continuerà a farlo finché guerre, carestie e regimi renderanno invivibili quei paesi.
Ciò che invece i governi dovrebbero fare, anziché ostacolare il lavoro delle Ong che salvano vite in mare e che esistono proprio a causa della mancanza delle istituzioni, è smettere di finanziare la guardia costiera libica che intercetta e respinge i migranti, rispedendoli nei campi di prigionia della Libia, tra i più violenti e crudeli al mondo. Paesi, questi, da cui non si può scappare se non illegalmente.
Sulla vicenda della giocatrice di hockey Shahida Raza, ad esempio, si sono scatenate le opinioni più disparate. Secondo la ricostruzione fatta dalla sorella, la campionessa deceduta durante il naufragio era partita per curare suo figlio affetto da una grave forma di disabilità. Il viaggio le era costato circa 8 mila euro. “Ma perché – chiedono i più - con tutti quei soldi, non ha deciso di utilizzare un altro mezzo?”.
«Perché – chiarisce Alfano – lasciano paesi in guerra (come nel caso dell’Afghanistan) che non ti danno la possibilità di espatriare legalmente. Non concedono i visti. Non ci sono, nei paesi di esodo, governi democratici che consentono tutto questo. Le persone che abitano questi luoghi sono, non solo vittime delle guerre ma anche trattenuti nei territori sotto assedio, e ciò rende la fuga clandestina l’unica possibilità di salvezza».