L’ascensore sociale si è fermato: giovani alle prese con crisi economica e dispersione scolastica
Nel 2019, la percentuale di abbandono scolastico precoce era del 13,5%. Pandemia e Dad hanno aggravato la situazione
di Giuliana Alato
L’attuale generazione di giovani è la prima a sperimentare sulla propria pelle la fermata dell’ascensore sociale, che aveva finora assicurato un continuo miglioramento delle condizioni di vita dei figli in confronto a quella dei padri. L’abbandono scolastico è una delle manifestazioni di un meccanismo che non funziona più. Fenomeno da anni in crescita, registrava già tassi fino al 16,7% nel Mezzogiorno, prima della pandemia.
Quest’ultima ha acuito la situazione con conseguenze sul piano socio-economico e individuale: uno studente su quattro ha pensato di lasciare la scuola. I sistemi di istruzione sono stati messi a dura prova dall’emergenza sanitaria e la didattica a distanza ha determinato un calo della qualità dell’apprendimento.
Nel 2019, la percentuale di abbandono scolastico precoce era del 13,5%. Lo studente può incorrere nel rischio di dispersione a causa di molteplici condizioni. Tra queste, contesti disagiati dal punto di vista familiare e ristrettezze economiche. A incidere fortemente è anche il caso delle famiglie di “arricchiti”. Si tratta di figli di persone in possesso al più della licenza media, arricchitesi perseguendo strade differenti dall’investimento scolastico.
Spesso, all’interno di queste famiglie, i figli decidono di interrompere gli studi per lavorare con i genitori, trascurando così il processo formativo. Il motivo di tale scelta si riscontra nell’assenza di fiducia nei confronti della scuola. La dimensione dell’istruzione e della formazione è infiltrata da ciò che l’ultimo Rapporto Censis definisce come irrazionale.
Cioè, una presa di distanza dai tradizionali strumenti della razionalità. La società italiana è oggi pervasa da manifestazioni di scetticismo. Non si è più disposti ad avere un atteggiamento fiducioso nel futuro e propenso all’investimento sociale. Propensione notevolmente diminuita a causa della scarsa redditività degli investimenti sociali, sia pubblici sia privati. L’istruzione rappresenta un caso esemplare: “L’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuse nello studio”.
La pandemia ha accresciuto la disaffezione verso l’istruzione. È aumentato il numero di casi di dispersione scolastica e tutto fa pensare che continuerà a salire. La maggior parte dei ragazzi sostiene che dopo la quarantena almeno un compagno della sua classe ha interrotto gli studi. Molti ritengono che il proprio percorso formativo sia peggiorato e uno studente su quattro cade nell’insuccesso scolastico. Il 46% degli alunni pensa che l’anno scolastico passato sia stato una perdita di tempo e il 38% ha lamentato l’assenza di concentrazione durante la Dad.
Il Covid ha aggiunto ulteriori ostacoli all’apprendimento, influenzando negativamente le opportunità di bambini e ragazzi, la cui esperienza in Dad ha incrementato ansia e noia. In particolare, alcuni studenti non erano in possesso degli spazi e dei mezzi adatti per usufruire delle lezioni virtuali. Secondo i dati Istat, il 50,9% degli alunni delle scuole secondarie ha segnalato problemi di connessione a casa e ben il 70,2% ha trovato più faticoso seguire le lezioni a distanza.
Gli alunni che hanno subito ricadute economiche in famiglia rappresentano la porzione più colpita dalla pandemia. Nel 2008, i minori in povertà assoluta erano 375.000, ma nel 2018 il numero è triplicato. Nel 2019, si era registrato un lieve miglioramento fino ad arrivare a una nuova impennata nel 2020. Attualmente, quasi 1,4 milioni di minori vivono in condizioni di povertà assoluta. A segnalare un peggioramento della situazione economica della famiglia in pandemia è il 29,4% degli studenti.
Durante l’emergenza pandemica, povertà educativa e povertà materiale si sono alimentate a vicenda. Il corpo studentesco ha subito un immediato passaggio da lezioni frontali a didattica a distanza: nel periodo della quarantena, le scuole italiane sono state le prime a chiudere e le ultime a riaprire. La chiusura ha allargato i gap educativi già esistenti in quanto la Dad ha aumentato i livelli di disuguaglianza, mettendo in difficoltà un alto numero di studenti. Circa il 12% dei ragazzi tra i 16 e i 17 anni non aveva a disposizione né pc, né tablet. Per non parlare del divario tra alunni italiani e stranieri, più svantaggiati rispetto ai primi. Inoltre, il Censis ha rilevato che oltre la metà dei dirigenti aveva espresso evidenti preoccupazioni su questo fenomeno, ammettendo di non riuscire a contrastare la povertà educativa e la dispersione scolastica con la didattica a distanza.
L’allarme sulla dispersione era già stato sottolineato dalla Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2020 della Commissione europea: “Il tasso di abbandono scolastico resta tra i più alti dell’UE, soprattutto al sud e tra i giovani nati all’estero. La percentuale di giovani nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni registra un tasso di abbandono ben al di sopra della media UE del 10,2%. Tra le regioni i tassi variano in modo considerevole, dal 9,6% nel nord-est al 16,7% nel sud. Nel 2019, la percentuale di persone di età tra i 30 e i 34 anni con un livello di istruzione terziaria, post-diploma, si attesta al 27,6%, ben al di sotto della media UE (40,3%)”.
Una recente indagine svolta dall'Ires e promossa dalla Rete degli studenti, dall’Udu e dallo Spi-Cgil ha indagato riguardo agli effetti del covid sugli adolescenti. I giovani hanno definito l’esperienza in Dad ansiogena e noiosa. I dati emersi focalizzano l’attenzione sul risvolto psicologico dell’isolamento, che ha provocato non pochi danni sulla salute mentale degli studenti. Danni che gli esperti sostengono si rimargineranno dopo circa cinque anni. Sul benessere psico-fisico dei ragazzi ha influito negativamente il distanziamento sociale.
Non è un caso che l’istituzione scolastica si identifichi anche come opportunità di socializzazione. Il venir meno di ciò ha causato un crollo nella frequentazione degli amici (diminuita per il 50,5% degli studenti) e l’aumento per il 69,5% dei ragazzi dell’utilizzo di chat e social media per comunicare.
L’Ires evidenzia, inoltre, la situazione di coloro che hanno pensato di abbandonare gli studi, spinti da demotivazione e noia. Per lo più, studenti fragili, per i quali il Covid ha costituito un vero proprio trauma. Un’esperienza profondamente negativa che, probabilmente, li accompagnerà anche in età adulta. In termini di percentuali, si tratta del 26,4% contro il 7,2% prima della pandemia. Una generazione studentesca segnata dall’isolamento e dalla mancanza di libertà, sperimentata durante l’emergenza sanitaria.