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ARIE E RECITATIVI - L’ostia, la terra, il corpo, il cuore: Niccolò Stenone

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Niels Steensen (latinamente Nicolaus Steno, Niccolò Stenone a Firenze e nel prosieguo di queste nostre righe) era nato a Copenaghen nel Gennaio del 1638. Luterano, studiò nella cattolica Scuola di Nostra Signora e prese ad assistere alle dissezioni che si compivano nella Domus anatomica della città. All’Università s’iscrisse a Medicina, e vi ebbe a maestro il più giustamente celebre dei Bartholin: quel Thomas, intendo, che aveva dato grande impulso agli studi anatomici in Danimarca, vi aveva diffuso gli studi del Malpighi sui capillari, aveva indagato natura e funzione del sistema linfatico, e che nel 1673 istituirà nell’Ateneo hafniense l’esame di ostetricia. La iatromeccanica, coi suoi criteri di analisi e misurazione, lottava allora con la diffusa certezza che alle descrizioni anatomofisiologiche di Galeno, e alla visione finalistica che le sottende, nulla andasse aggiunto, sottratto, mutato. Raggelata nei secoli, la possente e dinamica sintesi galenica era ormai corpus mortuum, e Marcello Malpighi si vedeva intralciato, a Messina e a Bologna, dalla pigrizia gelatinosa e risentita di chi quel corpus rizzava a mo’ di spauracchio. Tutt’altro clima il Malpighi trovò nella Toscana di Ferdinando II e del di lui fratello cardinale Leopoldo: la Toscana, cioè, dell’Accademia del Cimento, di Magalotti e di Viviani, di Borelli e di Redi – quella stessa Toscana che sarà pure di Niccolò Stenone.

Lo avevamo lasciato studente all’Università di Copenaghen. Lo troviamo in Olanda, dove, dissezionando una testa di pecora, scopre il dotto salivare parotideo (ductus stenonianus), definisce la differenza di funzione tra ghiandole secernenti e linfonodi, descrive il sistema lacrimale: il tutto, per virtù di bisturi e di fredda osservazione. Dimostra quindi che il moto dei muscoli non è dovuto solo all’azione dei tendini ma pure alla contrattilità del corpo fibroso del muscolo stesso: ne deriva che il cuore non è ghiandola né sede di spiriti animali o di calore innato, bensì semplicemente muscolo (De musculis et glandulis, Leida 1664). In Francia si dedicò all’anatomia cerebrale. I risultati, nei Discours sur l’anatomie du cervau, uno dei suoi pochissimi testi in lingua nazionale, pubblicato a Parigi quando egli dimorava già in Toscana (1669). È un testo ricco in questioni di metodo, nel quale Stenone esprime la necessità di una terminologia accurata e puntuale, e mette in guardia dalla lussureggiante fantasiosità delle ipotesi e dalla gaudiosa frettolosità delle conclusioni.

Data dal Marzo del 1666 il soggiorno in Toscana. Granduca è ancora Ferdinando II, e le accademie custodiscono spirito insegnamenti e limpida prosa galileiani. L’approccio matematico di Borelli e Viviani stimola lo Stenone alla grande sintesi sui muscoli. Pubblica infatti a Firenze, nel 1667, lo Elementorum myologiae specimen seu musculi descriptio geometrica. Vi si dimostra inappellabilmente l’invarianza volumetrica del muscolo, flesso o rilassato. Che le glossopetrae (lingue di pietra) somigliassero troppo a denti di squalo perché le si potesse credere rocce, era già stato asserito da Gessner, da Rondelet, da Colonna. Stenone lo ripropose con più forza dopo aver dissezionato una testa di squalo: le glossopetrae sono denti di pescecane fossilizzati. Lo studio delle rocce lo portò a comporre il De solido intra solidum contento dissertationis prodromus (Firenze 1669): se un solido ne racchiude un altro, è l’impronta dell’uno sull’altro a mostrare quale si sia indurito prima, e a infliggere impronta sull’altro è sempre il solido più antico. Fare salotto è sciorinare inani arguzie col tono di enunciare verità, frantumare in cazzata ogni moto dell’anima e ogni scheggia di vero, e provarne letizia. Le mie nozioni di Geologia, Tafonomia e Paleontologia si levano d’un mignolo di bimbo sulla palude salottiera. Credo però di non tonfarvi dentro se dico che ciò dimostrava precise forme di vita acquatica là dove oggi svettano i monti, come permetterà di datare rocce, fossili, la Terra tutta, le tappe del suo evolversi. Fedele all’ortodossia, Stenone sorvolò sul fatto che le sue conclusioni forzavano a prolungare l’età del Creato ben oltre i canonici 4004 anni prima di Cristo, e notevole è che alcune ossa di elefanti pleistocenici eran per lui ciò che restava degli elefanti di Annibale. Disse la sua, Niccolò, pure sugli angoli diedri dei cristalli. Taccio. Sento fetore di palude. La Morte è un grande dio dell’anima, e non voglio bruttarla con l’annegare nel salotto.

         Livorno, 24 Giugno 1666, festività del Corpus Domini. L’ostensione dell’ostia e l’incantato rapimento dei fedeli scossero Niccolò, che nel Dicembre dell’anno seguente diverrà cattolico romano. Poi sarà prete, e vescovo in partibus infidelium. Farà proselitismo nella Germania settentrionale, e vivrà in povertà, soccorrevole sempre con chi di lui fosse più povero. Darà alle stampe testi religiosi. Di scienza e fede aveva carteggiato con Spinoza, di fede e scienza carteggerà con Leibniz. Spirito sempre religioso, negli arcani della Terra e del corpo dell’uomo vedeva l’impronta del Creatore. Lo incontrammo nemico delle ipotesi fantasiose e delle conclusioni dovute alla fretta. Quando la fede prese corpo e divenne missione, nella sua ultima opera scientifica (1675) ebbe a scrivere: Pulchra sunt quae videntur, pulchriora quae sciuntur, longe pulcherrima quae ignorantur, che vuole dire: “Sono belle le cose che appaiono, più belle ancora quelle che si comprendono, belle oltremodo quelle che si ignorano” –e ricordiamo a chi legge che sapere il latino o ignorarlo non è merito o colpa, ma cosa tra cose.

Stenone morirà quarantottenne, a Schwerin, in Germania. Cosimo III ne farà traslare i resti a Firenze. Riposano in San Lorenzo. Giovanni Paolo II lo beatificherà. Negli ultimi decenni, gli innamorati lo hanno spontaneamente eletto loro patrono, e portano sulla sua tomba lettere di preghiera o di ringraziamento per speranza d’amore o certezza d’amore ricambiato.

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.