di MARTINA FORCINITI e SAMANTHA TARANTINO 12 agosto 2015. Per non dimenticare: titolare così lo scorso numero de
L’Eco dello Jonio – uno speciale interamente dedicato all’alluvione che ha letteralmente travolto le città di
Rossano e
Corigliano – non è stato certo un azzardo né un’esagerazione inconsapevole. Perché alcune date memorabili rimangono tali nonostante il rapido fluire del tempo. E non solo in quanto cicatrici di vecchie ferite mai rimarginatesi, ma soprattutto in quanto moniti reali e sicuramente efficaci. È vero, quel maledetto nubifragio si è trascinato via con sé non solo pezzi di città e ricordi lunghi una vita, ma anche una stagione – soprattutto turistica – che era iniziata nel migliore dei modi. Che l’estate, però, debba essere ridotta a quel binomio - vecchio come il mondo – mare/vacanza, non ci rende di certo giustizia. Non fosse altro per le attrattive, gli interessi e i richiami – forse ancora inespressi – che questa bella terra offre. Per questo – lungi dal dire che l’estate sia finita qui, a maggior ragione adesso che spendersi in lacrime di sconforto aggiungerebbe inutile acqua su fango – ripartire non rappresenta un’opzione. Piuttosto un dovere, un imperativo categorico che smuova le coscienze e rimbocchi le maniche.
Borghi, percorsi enogastronomici, itinerari religiosi: non sono forse, questi, i perni su cui un nuovo inizio possa far leva in una rinnovata ottica turistica onnivora e destagionalizzata? Centro storico è cultura e tipicità da promuovere e sponsorizzare, innegabilmente. Ma anche scenario perfetto di strategie utili a sviluppare ricettività e preparazione all’accoglienza – così come negli ultimi anni si è effettivamente fatto con buoni risultati. Ma oggi – come mai prima d’ora – si può e si deve fare di più, educando le coscienze ad una consapevolezza che altrove in molti hanno già fatto propria: un’offerta turistica a 360 gradi, che riempia di contenuti tutte le stagioni sibarite già di per sé ricche di unicità, è non solo realmente fattibile ma una soluzione già pronta all’uso. E magari già sperimentata in passato se è vero, come lo è, che le nostre città sono già state cornici deliziose di eventi che, per chissà quale strano motivo, si sono poi interrotti bruscamente. Come le sagre storiche: c’era quella della melanzana, simbolo della calabresità in tutte le sue gustose coniugazioni – fritta, ripiena, abbinata ai nostri piatti tipici e protagonista di vere e proprie competizioni tra ristoratori locali che chiamavano a raccolta migliaia di buongustai; e poi quella delle clementine, il nostro oro giallo troppo spesso poco tutelato, maltrattato in nome di quei business controproducenti che non arricchiscono il territorio; o anche quella della pasta ripiena e di quei rigatoni gratinati alla rossanese che, tra sacro, profano e allegorico, erano il miglior modo per esorcizzare la povertà. E se le amministrazioni comunali, i sindaci e gli assessori al ramo tornassero a valorizzare i prodotti, che sono solo nostri, proprio attraverso queste fiere del gusto - magari proponendone di originali e nuove da accostare alla riscoperta delle bellezze religiose, culturali e paesaggistiche dell’Area Urbana – di certo non si soddisferebbero solo papille e palati. Perché con la sagra del pesce povero – sano e a km zero – piuttosto che del pane da accompagnare ai salumi e i formaggi di casa nostra o con quella dei funghi e delle castagne di cui le montagne sibarite sono piene – si ritornerebbe sì alle splendide tradizioni culinarie che infarciscono i libri di ricette delle nostre nonne, ma si disvelerebbero le infinite possibilità offerte da un turismo 365 giorni l’anno. Non solo marittimo, ma appunto anche enogastronomico, culturale, naturalistico, storico. E, perché no, anche religioso sull’onda di quel legame imprescindibile tra fede e popoli che, in quest’area, sanno riconoscere nel culto dei propri patroni un rispetto che va oltre la semplice credenza condita di preghiera. Così, si potrebbe fare turismo proprio a partire da quegli unicum – sintesi di spiritualità e storia – che trovano nella devozione alla
Vergine Achiropita rossanese e in quella del Sambracischiellj (così come i coriglianesi affettuosamente definiscono il santo patrono
Francesco di Paola) gli strumenti eccezionali per coniugare nuove forme di ricettività. E non a caso, Corigliano è pronta ad essere assoluta protagonista nel 2016 per quello che si potrebbe definire il primo, vero esempio di turismo religioso mai sperimentato nella Sibaritide, in occasione della celebrazione del 540° anniversario dalla venuta, nel 1476, di San Francesco nella città ausonica. Così come Rossano Città del Codex, proprio su questa scia, starebbe già lavorando al ritorno in pompa magna del suo Evangeliario, fortemente reclamato dalla una cittadinanza che negli ultimi tempi lo sente ancor più rappresentativo di sé stessa. Insomma, le cittadinanze sembrano preparate a superare e lasciarsi alle spalle le cattive, quanto mai difficili circostanze, per darsi da fare e per disegnare nuove cartoline delle proprie città che, al di là di quello splendido e oggi più che mai torturato mare, hanno tanto altro da offrire.