VERBA VOLANT - La bellezza di essere giovani
Sono tornato nel liceo che ho frequentato, ma questa volta sono stato seduto in un posto diverso: dalla parte del “Prof”, dietro la cattedra
Questa settimana di Verba Volant è leggermente diversa dalle altre: la parola di oggi è giovane, ma è un po’ forzata.
La verità è che oggi ci dovremmo soffermare su una frase intera, più che su una parola.
La bellezza di essere giovani.
La vera difficoltà del lavoro del giornalista, a differenza di come qualcuno pensa, non è saper scegliere le parole giuste. Quella è una skill che nel mondo di oggi fa comodo, ma non è la condicio sine qua non per lavorare. La vera difficoltà è saper leggere i trend della realtà, catturarli, analizzarli, in modo da poter tradurre la realtà al pubblico. Il senso di questa rubrica è anche questo, soprattutto questo.
Il lavoro del giornalista impone quindi un’immersione totale nel mondo dell’informazione e non concede pause, soste, boccate d’aria.
Questa settimana però, io ho vissuto in un mondo diverso dal solito.
Sono tornato nel liceo che ho frequentato, ma questa volta sono stato seduto in un posto diverso: dalla parte del “Prof”, dietro la cattedra.
Sinceramente sono stato poco seduto, perché nel mondo che ho conosciuto c’è meno distanza tra alunni e professori, soprattutto quando c’è un lavoro artigianale da costruire insieme. Ho girato per lo più tra i banchi, cercando di seguire il flusso del lavoro e di indirizzarlo, per poi scoprire che quando si ha una classe appassionata, il flusso del lavoro prende il sopravvento e tu devi solo seguire la corrente.
Tra i banchi del Liceo Artistico siedono piccoli talenti, che sembrano nello stesso tempo giganti della vita e ragazzi indifesi.
Può sembrare la più grande contraddizione del mondo, ma non è così. Fidatevi. Nel momento in cui si trovano davanti ad un computer, ad un foglio bianco, una tela, davanti ad una montagna creativa da scalare, diventano esperti di trekking, che salgono fino alla cima usando ogni esperienza che ritrovano nello zaino. Se il mondo è troppo grigio si va di photoshop e gli si dà un ritocco; se le idee mancano si guarda fuori dalla finestra; se c’è da fare un’ora in più di lavoro, meglio mettere un po’ di musica.
Credo che sia l’esperienza più simile alla Scuola Holden che potessi fare lontano da Torino. Convinto di stimolare riflessioni e non di insegnare; di allargare la visione anziché piegare la testa sui testi; di guardare al futuro anziché al presente; all’ambizione e non alla convenienza; al talento e non all’esigenza.
Ho sempre pensato di non essere io quello capace di insegnare qualcosa, ma nella mia vita per fortuna ho sempre avuto delle grandi personalità che diventavano bussole di talento. Spero che ai ragazzi resti questo: l’intraprendenza e l’audacia, l’esempio della ricerca del miglioramento e l’umiltà di non sentirsi mai abbastanza pronti, le idee nuove e l’accoglienza, l’essere controtendenza per creare dibattito e cultura. Che bello sarebbe se gli insegnanti lavorassero sempre per accendere scintille e mai per riempire vasi.
Ho vissuto una settimana da “professore”, imparando davvero dai ragazzi: dirigere non vuol dire imporre, ma ascoltare; l’arte non ha età, ma i sorrisi si; i colori del computer non sono sempre quelli della vita; per parlare di memoria bisogna sempre pensare al futuro.
Esco da questa settimana scolastica con due convinzioni: la prima è che faccio davvero un bel lavoro, perchè non è scontato passare da un’intervista davanti alle telecamere, ad un pezzo su un giornale, ad un libro impaginato insieme ad una classe, ad una poltrona da regista per uno spot.
La seconda convinzione è che essere giovani è davvero bello.
Anche se io non so, sinceramente, se lo sono oppure no.