Il prodotto locale rimane il segreto per una identità culinaria unica e irripetibile
Il maestro pizzaiolo Daniele Campana (Slow Food) spiega come stagionalità, prodotti d'eccellenza e attenzione alle materie prime, posso essere gli "ingredienti" per una cucina unica e vincente
CORIGLIANO-ROSSANO – Da qualche anno l’attenzione (a tratti ossessiva) verso il cibo è cresciuta in maniera esponenziale. Nei ristoranti, sul web e in tv la cucina è diventata una grande protagonista dell’intrattenimento oltre che del tempo libero di tanti amanti della buona tavola.
In questa sfida a colpi di ricercatezza e qualità non poteva mancare uno degli alimenti più iconici per noi italiani: la pizza. Tanti pizzaioli affinano le loro tecniche di lavorazione, sperimentano nuovi impasti e propongono accostamenti audaci. Le tipologie di pizza sono ormai infinite: con farine più o meno forti, da grani diversi, con lievitazione e maturazione differenti e con una varietà sterminata di gusti ed ingredienti.
Dalle nostre parti una delle realtà che ha fatto di quest’arte un’attività vincente è sicuramente la pizzeria Campana. Il pizzaiolo Daniele ha dalla sua una caratteristica: utilizza quanto più possibile prodotti a km 0. Un progetto che viene da lontano.
«Sì. Questo è un progetto a cui tengo tanto perché è nato 32 anni fa con i miei genitori ed è la prova che non sono piombato dal nulla nel settore della ristorazione. Mio padre è stato un grande cuoco e mi ha dato delle basi, è su queste basi che ho costruito il mio lavoro. Questa particolare attenzione verso il territorio non nasce perché mi sono improvvisato o perché ho scoperto qualcosa di nuovo ma perché sono stato intelligente: ho ricercato quei prodotti che ci rendono unici agli occhi esterni e li ho valorizzati (olio, pomodoro, olive, formaggi, salumi…).
Questa scelta dei prodotti locali e l’impiego di materie prime a km 0 non è sfuggita alla “Condotta Slow Food”, associazione tra le più attente alla promozione di un’alimentazione «buona, pulita e giusta per tutti».
«Sì e ne faccio anche parte. Sono membro dell’Alleanza dei Cuochi proprio da quest’anno. Loro mi hanno coinvolto perché hanno recepito che facciamo qualcosa di interessante. Tra le cose più belle che ho fatto e per cui credo di potermi vantare è la pizza che esalta l’olio extravergine d’oliva “La Dolce di Rossano”. La Dolce di Rossano è un presidio Slow Food e ha delle caratteristiche uniche, essendo una monocultivar coltivata solo qui nelle nostre zone. Quando vado in giro e mi chiedono perché porto avanti questo discorso e perché la mia pizza è così buona, io dico loro che il risultato è frutto di un bagaglio culturale che mi porto dietro e delle materie prime dei singoli produttori. L’olio locale, dalle note dolci e amare, ha permesso alla mia pizza pomodoro di Campana di fare un ulteriore salto di qualità, ha permesso ad un prodotto semplicissimo e buonissimo di essere riconoscibile al gusto. Il pomodoro impiegato viene direttamente da un’azienda di Soverato che lavora a mano una materia prima eccezionale mentre l’origano selvatico, direttamente dalla Sila».
Tutti questi prodotti pregevoli, però, non trovano posto nel mercato della grande distribuzione. Per mantenere alti gli standard qualitativi è necessario non cedere alle seduzioni del sistema.
«Per chi produce oli di alta qualità è difficile inserirsi e proporsi alla grande distribuzione. Se prendi un olio extravergine d’oliva comune che trovi sugli scaffali dei supermercati non troverai le stesse caratteristiche di un olio come il nostro. Nella Dolce di Rossano ci sono caratteristiche e difetti, oltre che valore umano, che l’artigiano accetta e che l’intenditore apprezza. Un olio destinato a vendere è un olio piatto, che è costruito per andarsi a collocare in quella fascia di mercato. Per questo dovremmo sempre di più ritornare alle botteghe e ai piccoli produttori. Il supermercato deve diventare l’ultimo baluardo per gli acquisti alimentari. Ci hanno standardizzato i gusti perciò ricerchiamo prodotti commerciali. Il vero gourmet distingue e ricerca il prodotto tradizionale».
Con Slow Food l’obiettivo è cercare di promuovere e tutelare il territorio e le sue materie prime anche grazie ad iniziative importanti. Quanto rischia di perdere il singolo produttore con la concorrenza agguerrita della grande distribuzione?
«Questo discorso è importante e diventa pericoloso per coloro che sono attratti dal denaro. Se la grande distribuzione viene e ti propone x soldi per avere una produzione y, allora l’imprenditore, che ha sperimentato i bassi guadagni della produzione di nicchia, è facile che cada nella trappola e faccia il gioco delle grandi realtà produttive. Al contrario Slow Food lavora affinché la loro tutela si estenda anche a questi aspetti. La condotta mantiene alti gli standard e consente ai produttori di avere dei ricavi importanti anche senza soddisfare un grosso quantitativo in termini di produttività».
Un’altra grande novità targata Campana, finita sulle tavole di molte famiglie nelle scorse settimane, è il panettone sibarita. Un panettone particolare e versatile, che sfrutta ingredienti locali attraverso una chiave interpretativa nuova e per nulla scontata.
«È così. Gli ingredienti principali sono olio, origano e arance candite e nasce con un obiettivo specifico: esaltare la monocultivar più snobbata della Calabria, la Grossa di Cassano e quindi l’olio dell’azienda agricola Doria. Tutto questo insieme di elementi ha dato vita a un panettone che potremmo definire sia dolce che salato, che possiamo proporre come aperitivo ma anche come fine pasto, o addirittura come entrée al dolce. Insomma è un prodotto versatile da mangiare non solo a Natale ma tutto l’anno. Tutti i palati del mondo food sono rimasti entusiasti, pensavano non funzionasse e invece si sono ricreduti. Per come è strutturato ha caratteristiche che lo rendono unico, è il panettone rivoluzionario del 2023».
In questi giorni si è parlato molto dell’introduzione e commercializzazione della farina di grillo:
«Ovviamente ci sono pro e contro. Questo prodotto è stato creato per andare ad inserirsi in un mercato di nicchia in cui può essere impiegato come fonte proteica (barrette, proteine solubili, cibi proteici ecc.), senza che vada ad intaccare l’uso e il consumo corrente di proteine animali a cui siamo abituati. È ovvio che la tendenza mondiale è rivolta e mira ad un consumo ridotto e consapevole della carne, sia per questioni energetiche che ambientali, allevare il grillo è ecosostenibile. D’altra parte però c’è il rischio che il prezzo della carne salga alle stelle perché verrà ridotta la produzione, diventando un cibo per ricchi. Questo ci spingerebbe a diminuirne il consumo. È bene ricordare che un tempo la carne veniva mangiata una volta a settimana, due volte il pesce. È il quantitativo di oggi che non è salutare. Bisogna rivedere i comportamenti alimentari, un motivo in più per ritornare alla tradizione!»