La mission di Demma e Domanico: «Tenere all’asciutto il Parco archeologico di Sibari»
Presentato il masterplan. Primi lavori in autunno. Il direttore: «Puntiamo ad una soluzione definitiva». Il progettista: «Utilizzeremo canali drenanti»
CASSANO JONIO - Il progetto è di quelli ambiziosi: tenere all’asciutto gli scavi archeologici di Sibari che altrimenti sarebbero due metri e mezzo sotto il livello dell’acqua.
Da anni questo lavoro viene svolto da tutta una serie di pompe idrovore con costi energetici quasi inimmaginabili. L’aspirazione del direttore del Parco archeologico di Sibari, Filippo Demma e dell’ingegnere incaricato Nilo Domanico, oggi è quella di gestire la falda acquifera sotterranea in maniera diversa, attraverso dei canali drenanti.
In una seconda fase, una volta messo in sicurezza il patrimonio esistente, si potrebbe anche pensare di provare a portare alla luce il “sommerso”, ovvero le città di Thurii e Sybaris, poiché quella attualmente visibile è la colonia romana di Copia, edificata nei secoli sopra le altre due. Il masterplan è stato presentato questa mattina al Museo archeologico della Sibaritide: “Sulle orme di Mosè, un grande progetto per salvare il parco dalle acque».
Demma: «Vogliamo mettere in sicurezza il parco archeologico. La soluzione al problema sarà definitiva e non temporanea»
«Il progetto è estremamente importante – spiega Filippo Demma al Corriere della Calabria – perché il problema fondamentale del Parco archeologico, oltre a quello della legalità, è l’estrema fragilità idrogeologica. Il sito è caratterizzato da una estrema altezza dell’acqua di falda e servono, quindi, numerose pompe idrovore per tenere all’asciutto gli scavi che altrimenti sarebbero due metri e mezzo sott’acqua. Questo enorme volume d’acqua, che deve essere estratto dalla falda per consentire agli scavi di retare all’asciutto, potrebbe essere gestito diversamente. Abbiamo provato ad immaginare, una volta tanto, non una soluzione tampone ma una risoluzione del problema definitiva».
«Soluzione – spiega il direttore del Parco archeologico – lunga e costosa che sarà suddivisa in più step e in più fasi, dalla più urgente, quella che ci permetterà di mettere in sicurezza il sito e di annullare l’utilizzo delle pompe idrovore, a quella finale che terrà tutta questa porzione di Piana all’asciutto. Le ricadute del progetto saranno decisamente importanti anche per l’agricoltura. La piana di Sibari, per quanto sia ricca di acqua è soggetta a desertificazione, per cui è necessario attingere alla falda per poter proseguire nelle produzioni agricole. Questo tipo di progetto metterà a disposizione dell’agricoltura un notevole quantitativo d’acqua: sarà estratta dalla falda sotto gli scavi e poi distribuita nei campi».
«Il primo di questi interventi è già stato finanziato. Vi abbiamo appostato i fondi del grande progetto Sybaris voluto dal ministro Franceschini, come prima fonte di finanziamento del nuovo parco archeologico di Sibari istituito l’anno scorso. La progettazione preliminare è già pronta – conclude Demma – l’appalto, quindi l’incarico ai progettisti per la progettazione definitiva del primo stralcio verrà affidato entro l’estate, e speriamo di poter mettere a gara il progetto delle prime opere entro l’autunno».
Domanico: «La prima mission è realizzare canali drenanti che faranno defluire l’acqua verso il canale degli Stombi»
Nilo Domanico, ingegnere di Corigliano Rossano che ha diretto e coprogettato i lavori del giardino botanico più grande del mondo, in Oman, ne è il progettista. «Sibarys, Thurii e Copia – spiega – sono sprofondate sottoterra per effetto della subsidenza e sommerse da una falda acquifera dello spessore di circa 20 metri che parte da meno due metri sotto il piano di campagna. La nostra missione è aver prodotto questo masterplan (circa 140 pagine, ndr), propedeutico ai vari progetti che seguiranno. Il primo partirà a brevissimo: si tratta di canali drenanti che a monte del parco e cingendolo perimetralmente, sposteranno l’acqua verso il canale degli Stombi e quindi verso il mare. Abbassata la falda fino a quota zero sul livello del mare per mettere in sicurezza Copia, la fase due è quella sigillare tridimensionalmente ed in maniera impermeabile l’area per arrivare allo strato di argilla che si trova a circa 20 metri, facendo in modo che l’acqua di falda passi attorno al parco archeologico e defluisca verso il mare in maniera naturale. Queste le linee teoriche del progetto – conclude Domanico – nella pratica saranno attuate con dei metodi e delle tecnologie già sperimentate».
(fonte Corriere della Calabria)