In Calabria più del 40% delle case sono vuote, la regione è terza per immobili abbandonati
Cuda, dirigente regionale di Azione Calabria, ritiene indispensabile il dialogo tra i comuni zonali per sopperire allo spopolamento e all’assenza di servizi attraverso la condivisione di buone pratiche e servizi
COSENZA - «In Calabria la percentuale di case non occupate permanentemente dalla popolazione residente, sulla base dei dati Istat, è pari al 44,54 per cento: la regione è terza per quota più alta di immobili abbandonati e in graduatoria si colloca dopo Valle d’Aosta e Molise. Il triste fenomeno dello spopolamento della Calabria avanza inesorabile anno dopo anno senza soluzione di continuità. L'ultimo censimento Istat al 31 dicembre 2022 conteggia una popolazione di 1.829.773 calabresi in raffronto a tempi quando la Calabria sommava oltre 2.200.000 abitanti».
È quanto afferma Giuseppe Cuda, Dirigente regionale Azione Calabria e responsabile politiche giovanili Azione Calabria.
«Utilizzando un linguaggio metaforico, - continua - la Calabria sta vivendo un’emorragia abitativa, intellettuale e di sopportazione del fenomeno migratorio arrestabile probabilmente ma solo con gli strumenti adeguati. Oggi molte zone territoriali, come quella in cui vivo assistono allo spopolamento dei comuni dell’entroterra montani e collinari a favore di comuni, sempre zonali ma con sbocco sul mare e maggiormente serviti».
«Questo fenomeno – spiega - genera un impoverimento e una mancata valorizzazione delle risorse urbanistiche e naturali dei comuni vittime dello spopolamento poiché non solo ne subisce effetto immediato l’economia dello stesso ma anche le potenzialità umane, naturali e di conseguenza muore la crescita potenziale di un comune e di conseguenza di un territorio. È quindi un cane che si morde la coda, perché di fronte a un’emorragia migratoria un territorio si conserva con strategie di crescita e rilancio e lo spopolamento delle aree interne a favore di quelle esterne risulterà come un’opera di conservazione inefficace. La Calabria e le aree soprattutto come l’alto Jonio Cosentino che presentano handicap e deficit, sono chiamate a valorizzare e rilanciarsi, non a conservare».
«È fondamentale quindi innescare un meccanismo di dialogo virtuoso e di prospettiva tra i comuni limitrofi anche, ove possibile, attraverso la condivisione di servizi e sicuramente anche in un’ottica turistica, poiché è necessario aprire una rete ufficiale tra i comuni dell’Alto Jonio Cosentino per presentare ai visitatori nazionali e internazionali un’offerta completa e suggestiva del nostro territorio. A questo –propone ancora Cuda- è molto importante aggiungere un confronto con realtà territoriali nazionali per lo scambio di buon pratiche applicabili anche nel nostro territorio, un esempio è la Rete delle Città del Dialogo, laboratorio unico, formato dai comuni aderenti, per l’innovazione delle politiche locali poiché coinvolge attivamente i cittadini nella costruzione del futuro del proprio territorio, promuovendo una cultura di collaborazione, partecipazione, creatività e inclusione» conclude.