di ALDO PATRICELLO* L’
emergenza immigrazione - su cui per troppo tempo l’Europa ha tenuto un atteggiamento a metà strada tra l’ostentata indifferenza e la colpevole inazione – pare abbia imboccato, finalmente, il sentiero della collaborazione reciproca e della responsabilità condivisa. Una buona notizia, insomma, che rafforza le speranze di vedere attuata, a livello comunitario, una vera e propria politica dei flussi migratori, più volte e da più parti invocata, ma mai realizzata. L’agenda per una nuova politica dell’immigrazione, approvata oggi dalla Commissione Europea, si muove dunque nella giusta direzione, sulla scia della risoluzione approvata dal Parlamento Europeo nel corso dell’ultima sessione plenaria, in cui i principali gruppi politici (Ppe, S&D, Verdi e Liberali) hanno sottolineato l’assoluta necessità di trovare una soluzione comune e condivisa ai fenomeni migratori provenienti dall’Africa e dal Medio-Oriente. Il piano prevede la redistribuzione di migranti tra Stati membri in base a quote prestabilite: un insieme di misure sostenute da una dotazione finanziaria di 60 milioni di euro che i Paesi europei del Mediterraneo avranno a disposizione per gestire le emergenze relative all’immigrazione. Senza voler entrare nei dettagli dell’operazione, ciò che a mio avviso è importante sottolineare è la portata dell’intervento preventivato ed il suo messaggio politico: le sfide europee necessitano di soluzioni europee in cui ogni Stato membro deve giocare la propria parte di solidarietà e di responsabilità. Il Parlamento Europeo e la Commissione hanno dimostrato, se pur con le dovute cautele e contraddizioni, di essere pronti ad agire. Ora spetta ai governi nazionali – e quindi al Consiglio europeo – trovare una soluzione comune per dare il via libera definitivo alla nuova agenda Ue per l’immigrazione, superando le resistenze di quanti vedono l’Unione Europea come un’istituzione buona per il libero mercato ma non per la condivisione solidale delle responsabilità. Il tempo delle promesse e dell’indignazione dopo ogni strage nel Mediterraneo è finito. C’è bisogno non soltanto che ciascun Paese membro accetti un sistema equo di distribuzione delle quote di immigrati, ma anche che i capi di Stato e di Governo diano seguito alle promesse di aumentare i fondi per triplicare le capacità e i mezzi delle operazioni congiunte di Frontex, Triton e Poseidon: non è pensabile, infatti, combattere contro i trafficanti di esseri umani e le reti criminali senza un adeguato numero di personale qualificato che gestisce le operazioni. E tuttavia risulta evidente che anche le nuove misure per la gestione dell’emergenza immigrazione varate dall’Unione Europea non saranno sufficienti a risolvere i problemi delle Regioni del Mezzogiorno d’Italia se il governo continuerà la sua politica di assenza controllata nei confronti delle difficoltà con cui sono alle prese moltissimi amministratori locali, lasciati completamente soli ad affrontare situazioni al limite della sostenibilità sociale, umana ed economica. E la Calabria non fa certamente eccezione, anzi. Il problema è, ancora una volta, di natura squisitamente politica; il frutto di deliberate scelte programmatiche - operate dall’esecutivo - che escludono le Regioni del Sud dalla ripartizione dei fondi per gli investimenti pubblici e lo includono, invece, nella distribuzione delle “emergenze” – queste sì – nazionali. Uno strabismo politico che genera inevitabilmente situazioni paradossali in cui, ad esempio, l’enorme peso di un’emergenza dalle proporzioni bibliche ricade, per la maggior parte, sui Comuni delle Regioni con il più elevato tasso di disoccupazione ed uno dei più bassi Pil pro-capite d’Europa. Territori a cui, pochi mesi fa e nel silenzio assordante di gran parte della stampa italiana, sono stati sottratti circa 3,5 miliardi di euro del piano di azione e coesione (fondi destinati alle Regioni del Mezzogiorno) per finanziare la decontribuzione dei nuovi assunti per il periodo 2015-2017. Se non consideriamo questi elementi rischiamo di non comprendere le difficoltà e le richieste di aiuto che giungono sempre più numerose da parte degli amministratori locali. Non si può chiedere di più a chi ha di meno, sebbene la cultura dell’accoglienza sia scolpita nel DNA culturale, storico e sociale delle Regioni del sud, Calabria in primis; un tratto identitario inconfondibile che fa parte del patrimonio immateriale degli abitanti di questo territorio. Del resto, in tema di immigrazione, basterebbe che il governo adottasse, nella distribuzione delle quote a livello nazionale, gli stessi parametri adottati dall’Ue per la ripartizione dei migranti tra Stati membri. Una ripartizione calcolata sulla base di quattro criteri: numero di abitanti del Paese Ue, Pil, numero profughi già presenti sul territorio e tasso di disoccupazione. Ciò che vale per l’Unione Europea, in fondo, non può non valere a livello nazionale.
*Deputato al Parlamento Europeo membro Commissione Industria, Ricerca e Energia